venerdì 25 marzo 2022

Tra “Vispa Teresa” e tragedia

di Piotr


I dolori del parto di un'epoca nuova

Tutti i momenti di passaggio epocale sono stretti tra la tragedia e le sfide cognitive per cercare di capire i lineamenti della nuova epoca che sta nascendo tra i dolori del parto, che nell'odiosa e disgustosa storia di guerre del genere umano sembrano inevitabili.

Se si è consapevoli che la nottola di Minerva spicca il volo solo dopo che sono calate le tenebre, allora si sa che durante il crepuscolo al più si hanno intuizioni, non certezze razionali. Si hanno ciò che possiamo chiamare “fantasie realistiche”, che non a caso è un ossimoro.

“Tentava la vostra mano la tastiera”, diceva il poeta. E io faccio lo stesso, oltre non posso andare, anche per le mie limitatissime conoscenze e informazioni.

Però, se volete, in giro si trova facilmente chi invece sa tutto e sentenzia sicuro. In TV e sui media ne trovate esempi continui. Peccato che molto spesso sappiano esclusivamente ciò che gli è consentito dai vecchi paradigmi, che per altro già fornivano una visuale ristretta, così che è capitato che blasonati e riveriti esperti potessero incorrere in piccoli errori, come ad esempio preannunciare entusiasmanti sviluppi economici il giorno prima dello scoppio di una crisi devastante (e poi, una volta scoppiata, nemmeno capirne la portata) o pensare a un mondo unificato e pacificato il giorno prima dello scoppio della terza guerra mondiale. Una guerra che è già iniziata da un pezzo anche se qualcuno insiste a pensare o a voler far credere che quella in corso non sia parte di un confronto di portata storica non più rinviabile tra Russia e Stati Uniti, bensì una faccenda tra Russia e Ucraina o il personale delirio zarista di una persona al Cremlino disturbata mentalmente da amanti, figli illegittimi, complessi fisici - eh, la statura! - e traumi infantili (francamente di queste idiozie non se ne può più).


La strategia e la narrazione: la “Vispa Teresa” come dogma popolare

Ovviamente là dove si prendono le grandi decisioni strategiche, in questi errori non si incorre, le cose si sanno veramente. O per lo meno io parto da questo presupposto. L'alternativa sarebbe l'inquietante  ipotesi che si possa arrivare a guerre mondiali “per sbaglio”, ad esempio perché qualche think tank di idioti pensava di poter continuare inerzialmente a minacciare la Russia senza che essa reagisse.

A tratti, confesso, ho anch'io questa sensazione, ma come ipotesi di lavoro, e per il mio benessere mentale, assumo come presupposto che nei posti di comando che contano si facciano ragionamenti magari cinici e amorali ma seri. Ne segue che le miserande narrazioni che a noi giungono sono dovute al fatto che in questi centri di comando si sta molto attenti a non far trapelare la verità e, al suo posto, a volgarizzare una narrazione piena di frottole giustificate da dogmi, cioè la “Vispa Teresa”. Queste sono le frottole e i dogmi, nel senso proprio di deliberazioni non questionabili, che formano la dottrina dei grandi “esperti” funzionali alla divulgazione, appunto, della “Vispa Teresa”, cioè del travestimento di strategie che essi non intendono e che nessuno deve intendere (se poi qualcuno studia come stanno le cose, viene chiamato, a scelta, “complottista” o “agente del nemico” - si pensi ad Alessandro Orsini, persona moderata e riconosciuta esperta di analisi strategiche e di sicurezza internazionale, chiamato da un esponente del PD “pifferaio di Putin” perché spera che si arrivi alla pace prima che scoppi una guerra nucleare a causa della radicalizzazione delle posizioni: una volta qualcuno in orbace l'avrebbe definita una “posizione disfattista”, ma siamo lì). 

Non c'è spazio per dubbi. Le narrazioni diventano “la scienza”, con l'articolo determinativo, l'unica ammessa da un sistema mediatico-accademico ormai senza un barlume di spirito critico (nelle università occidentali da anni, ad esempio, non si insegnano più le idee economiche al plurale, ma una sola, il neo-liberismo, una dottrina impostasi per gestire la crisi del sistema occidentale e funzionale alla crisi, sperimentata negli anni Sessanta del secolo scorso nel Cile fascistoide di Augusto Pinochet e poi diventata verbo liberal – è un punto su cui ritorneremo perché mette in luce forse il più importante errore specifico di valutazione del Cremlino nella crisi ucraina). 

Quando parlo di “grandi strategie” e di ristretti circoli che le cose le sanno veramente e scrivono la “Vispa Teresa” da far divulgare, penso a Washington, penso a Londra, in qualche misura anche a Parigi e Berlino. L'Italia è meglio lasciarla perdere in quanto dall'inizio della cosiddetta Seconda Repubblica ha progressivamente confuso la “Vispa Teresa” con la strategia stessa.

Penso ovviamente anche a Pechino. Per quanto riguarda Mosca la cosa si fa più complessa e quindi anche più interessante.


Lo scontro di due logiche uguali: l'incanto iniziale di Putin e la sua successiva delusione

Per dirla senza riguardo, Putin all'inizio dei suoi mandati ha creduto sinceramente alla “Vispa Teresa”. Convinto liberista, pensava di inserirsi alla pari nel mondo globalizzato occidentale, ma la domanda non è stata accolta. Per prima cosa perché l'accumulazione capitalistica si basa su differenziali si sviluppo economico, politico, militare, conoscitivo e culturale e quindi il Centro ha bisogno che ci sia una Periferia (o meglio un sistema di periferie). In secondo luogo perché quando la Russia, grazie a Putin, è uscita dallo stato di periferia designata che era stato accettato dalla cleptocrazia compradora di Boris Eltsin, la crisi sistemica era ormai in uno stadio molto avanzato e in uno stadio molto avanzato di crisi il Centro ha bisogno di più Periferia, non di meno Periferia. Era l'apice della strategia globalizzazione-finanziarizzazione, che ha dato i suoi frutti fino a quando, come esito inintenzionale, alcune grosse periferie su cui si basava hanno cominciato ad emergere come competitor. 

L'esito è stato inintenzionale ma la morale invece è sempre la stessa: il capitalismo, a causa del suo principio fondante di accumulazione senza fine e senza un fine, supera una contraddizione solo per ritrovarsene davanti una ancora più gigantesca. Di fronte a questo refrain il Centro-in-carica ha solo due strade: o si ripensa (come Centro) o raddoppia la posta, replica le stesse mosse e incrementa esponenzialmente il pericolo di una catastrofe sociale, politica e militare, per sé e per il mondo con cui è in contatto, attualmente l'intero globo terraqueo, la stratosfera, la mesosfera, la termosfera e anche oltre. 

Per ora rimettersi in discussione è considerato più pericoloso del raddoppio. Così l'anno dopo che Putin chiedeva, inutilmente, che la Russia fosse ammessa nella Nato, iniziava la III Guerra Mondiale: era l'11 settembre 2001. Ed ora eccoci qua, in piena merda, per dirla in termini scientifici.


Dalla delusione alla contrapposizione obbligata

La dinamica l'abbiamo già accennata. L'esclusione dal Centro-in-carica, ha spinto il neo-Centro Russia,  che è uno dei neo-Centri emergenti che spingono verso un mondo multi centrico (premessa, qualora la Bomba venga tenuta nel cassetto, al benedetto mondo multipolare), a contrapporsi all'egemonia occidentale. 

Quindi, la colpa dell'Occidente è il suo sistema escludente e la colpa di Mosca è averne mutuata la logica e in più non averne capito in tempo tutte le conseguenze.

La contrapposizione e la strategia del double down hanno consigliato a Washington e alla Nato di preparare la trappola ucraina. La contro strategia di Mosca, vista la mancanza di vie d'uscita, è stata  entrare in forze nella trappola per scardinarla, sparigliare le carte e imporsi definitivamente come neo-Centro. La trappola era preparata da tempo così come la chiusura delle vie d'uscita, ma Mosca ha dovuto aspettare due cose: 1) la modernizzazione dei propri sistemi d'arma, che è esemplificata dai missili ipersonici sostanzialmente non intercettabili nemmeno dalla difesa statunitense, 2) il consolidarsi di un entroterra economico, politico e diplomatico alternativo a quello occidentale.

Una volta verificate le due condizioni, la Russia con l'invasione dell'Ucraina ha tolto agli Stati Uniti il monopolio planetario della violenza e assieme alla Cina gli sta togliendo il monopolio dei mezzi internazionali di pagamento.

Di fatto ciò ratifica la fine del ciclo egemonico statunitense iniziato con la vittoria nella II Guerra Mondiale. E' lo showdown.

Dei monopoli che devono essere appannaggio di un centro egemonico perché esso sia tale, quello delle fonti d'energia se rimarrà agli Stati Uniti lo sarà solo relativamente alla sua residuale area d'influenza; la vicenda del Nord Stream 2 esemplifica ciò che sto dicendo.

Occorre notare che le due condizioni sopra accennate non sono separabili. Quasi una decina di anni fa scrissi che il bluff del Dollaro come moneta internazionale, ruolo tecnicamente finito nel 1971, sarebbe stato scoperto quando al tavolo di poker internazionale si sarebbe seduto un tipo con lo sguardo duro con due grosse pistole al cinturone, che con voce poco rassicurante avrebbe detto: “Vedo!”. Le due grosse pistole erano necessarie per far desistere gli Stati Uniti da una «risposta politica, economica e anche militare selvaggia» (David Harvey). Così sembra essere. Non solo, ma al tavolo da gioco del Far West si è seduto un distinto signore proveniente dal Far East, e che si sospetta sia complice del tipo con lo sguardo duro, che ha gettato come posta un sacco di soldi per far saltare il tavolo.


Qui però si impone un excursus. 

Che siano necessari migliaia di morti, in questo caso e per ora, se non centinaia di migliaia e a volte milioni come è successo altre volte, per decidere con che mezzo si possa pagare un metro cubo di gas per cucinare e produrre energia elettrica, o un barile di petrolio per far funzionare i motori o un ettolitro di grano per nutrirsi, è la testimonianza più evidente della perversità della logica dei cicli egemonici.

Fine excursus


Il mondo si sta spaccando in due (o più?) parti e un brave new world sta nascendo tra le angoscianti  sofferenze che il caos sistemico porta con sé. Qui non ci sono buoni e cattivi. Solo gli interessi sono “at stake”, non i sentimenti e i valori. Ma una cosa è certa: l'Occidente che ha ucciso milioni di civili nelle sue guerre, che ha massacrato l'allora poverissimo Vietnam, il Laos, la Cambogia, che in 13 contro 1 ha bombardato per 78 giorni la piccola Serbia con 1.000 bombardieri (nel tripudio della nostra stampa democratica), che ha bombardato Baghdad e Tripoli, ucciso mezzo milione di bambini iracheni, perché quello era il “prezzo giusto” (Madeleine Albright), devastato l'Afghanistan, la Siria e lo Yemen coi suoi proxy di fanatici tagliagole, coi suoi “eserciti subnazionali” (copyright Rand Corporation), questo Occidente non può dare del “pazzo” e del “criminale” a nessuno. Siamo al punto che Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro di Reagan, e quindi a tutti gli effetti uno dei vincitori della Guerra Fredda, è costretto ad affermare che la Russia non ha capito che i suoi sforzi per fare meno vittime civili possibili, all'Occidente non interessano un bel nulla. Anzi, l'Occidente la rispetterebbe di più se radesse al suolo Kiev. 

Dio non voglia! Prego, letteralmente prego, tutti i giorni che questo non accada e che la guerra termini. Ma è così: un killer sanguinario come può rispettare un killer che si fa degli scrupoli?

Tolte di torno le ipocrisie, ritorniamo al punto.


Verso un mondo fratturato. Una o più parti?

Il liberista Putin ora deve combattere contro il Centro-in-carica del liberismo mondiale. Io ho seri dubbi che possa esistere un sistema liberista multipolare o, più in generale, un sistema-mondo capitalista multipolare. Temporaneamente potrebbe esistere una suddivisione in due o più sistemi-mondo che riferiscono a Centri differenti e collegati in alcuni punti da complicati meccanismi di scambio. Una configurazione non stabile. Ma tenendo in conto che il liberismo è in crisi (in realtà il liberismo è la crisi, nella nostra epoca storica ora agli sgoccioli), la forza degli avvenimenti potrebbe portare su strade inedite. Per quello sto utilizzando per Putin, o meglio per il “Putin collettivo” il termine segnaposto, e tutto da specificare, “a-liberista”.

Eravamo infatti rimasti all'apparente (o reale) contraddizione delle nomine della liberista-occidentale Elvira Nabiulina alla testa della Banca Centrale Russa e contemporaneamente di Sergei Glazyev alla testa del Ministero per l'Integrazione e la Macroeconomia dell'Unione Economica Eurasiatica.

Alcuni giorni fa la Russia ha rimborsato in valuta estera le cedole in scadenza dei suoi bond emessi in dollari. C'è chi ha salutato questo atto come l'inizio di un “rinsavimento” di Mosca (anche qui: Putin è pazzo se lancia i missili sull'Ucraina, ma è rinsavito se paga le cedole in dollari: che logica sublime!). Perché l'allegro stupore? Perché si sapeva che la Russia stava mettendo a punto un meccanismo per pagare i suoi debiti in rubli. D'altra parte però gli scambi euroasiatici utilizzeranno una sorta di Diritti Speciali di Prelievo dinamicamente rivalutati sulla base di un paniere di valute nazionali e di merci, dove Yuan e Rublo avranno un ruolo fondamentale. Un meccanismo squisitamente keynesiano, anzi, una sorta di vendetta postuma del britannico Lord Keynes ad opera di avversari del Regno Unito (la Storia è veramente sorprendente). Chiamiamo questa valuta internazionale “DSPE”, Diritti Speciali di Prelievo Euroasiatici. 

Ora il pagamento in valuta estera delle cedolari e i DSPE sono in contrasto solo se si pensa che il sovvertimento dell'ordine monetario nato dalla II Guerra Mondiale (in realtà già sovvertito una prima volta dal Nixon Shock del 1971) possa avvenire con un colpo di bacchetta magica. No, è l'esito di un processo non breve e non semplice. Non basta nemmeno una guerra come quella in Ucraina. Che infatti dimostra quanto le cose siano complicate. Si pensi solo che la Russia invade l'Ucraina ma non le taglia il gas, così come non taglia il gas ai Paesi europei che inviano armi a Kiev per ammazzare i soldati russi e applicano contro la Russia una sanzione dopo l'altra. La novità è che ora i Paesi europei devono pagare il gas russo in rubli (bastava studiarsi l'andamento della composizione delle riserve e dei pagamenti internazionali nell'ultimo decennio e si capiva che era nell'ordine “naturale” delle cose; curioso che ci siano “esperti” che sono caduti dal pero; viene il dubbio che siano esperti contafagioli in speculazioni di Borsa e alchimie finanziarie e nulla più). C'è poi da prender nota della surreale preoccupazione della Russia che il gioco delle sanzioni e contro-sanzioni possa far schizzare il prezzo del gas in Europa, che è una cosa che andrebbe a tutto vantaggio di Mosca.

Intrecci borderline tra complessità e paradosso. Ma non è una novità. La Cina ha sostenuto il debito pubblico statunitense che serviva a sua volta a sostenere l'apparato militare per minacciare la Cina.

Cose simili avvenivano tra USA e URSS durante la Guerra Fredda.

Se poi si va a vedere il Trecento, come spesso suggerisco, si provino a seguire gli intrecci paradossali tra mercanti-banchieri fiorentini, Corona inglese, Guerra dei Cent'anni e industrie tessili a Firenze e nelle Fiandre, con contorno di Rivolta dei Ciompi ed epidemia di peste. C'è di che istruirsi. Forza! E' l'ora di lezione della Storia.


La denazificazione: limiti concettuali, politici e pratici

Quando la Russia ha invaso l'Ucraina parlando di “denazificazione” si sono letti commenti sguaiati come quello di Norma Rangeri su quel “manifesto” che insiste a definirsi, chissà perché, “quotidiano comunista”. Lasciando perdere le isterie filo imperiali, cerchiamo però di capire qual è il vero problema con la “denazificazione”, posto che i nazisti in Ucraina ci sono veramente, sono criminali, hanno un potere inversamente proporzionale allo scarso consenso popolare, sono infiltrati in punti nevralgici e tengono in scacco i governi di Kiev.

Torniamo a Pinochet. I suoi gorilla stragisti e torturatori erano ciò che più appariva di un sordido scenario dietro il quale manovrava una fetta importante di società cilena che cercava benessere e privilegi collegandosi agli Stati Uniti e che avrebbe accolto poi con favore il primo esperimento mondiale di neo-liberismo, condotto dai Chicago Boys.

Similmente i neo-nazisti sono visti da una parte di società ucraina come un tollerabile ausilio al suo sogno di collegarsi alla UE per dar corso ai propri interessi. La Maidan era piena di persone che sicuramente in buona fede (la difesa dei propri interessi crea la falsa coscienza e quindi la buona fede) volevano entrare nella UE (e anche disfarsi degli oligarchi) mentre intorno il gioco sporco lo facevano i neo-nazisti e i cecchini georgiani e lituani pagati da Washington.

A quanto sembra, per molti ucraini è lecito che il “sogno liberista europeo” sia difeso da personaggi con la svastica la cui fanatica russofobia sovrasta e nasconde una, diciamo così, formale riproposta degli schemi nazisti classici come l'antisemitismo, un odioso omaggio alla tradizione storica ma tutto sommato considerato dalle “persone perbene” residuale o folkloristico (cosa per me incomprensibile, ma sembra che le cose stiano così). Ciò rende tollerabile il neo-nazismo ucraino anche ad ebrei e persino ad ebrei di famiglia russofona come Volodymyr Zelensky (anche se in questo caso io penso che più che altro giochi un mix di codardia e totale mancanza di scrupoli). 

Insomma, se l'infezione razzista erutta come odio anti-russo è semplicemente utile. 

Per quanto ci riguarda, dopo decenni di lavaggio del cervello, per un occidentale se non c'è antisemitismo (o c'è ma è considerato solo una stravaganza) non c'è nemmeno nazismo. Le due cose per lui coincidono, anche se nella realtà storica sono coincise solo per una parte, perché un'altra enorme parte è rappresentata dai 27 milioni di sovietici (tra cui ucraini) uccisi, totalmente spariti dai libri di Storia e dall'immaginario collettivo revisionista e di fatto negazionista occidentale.

Così se un russo parla di “denazificazione” oggi, non può sperare che un occidentale possegga alcuna coordinata culturale o politica per capirlo (magari un “giornale comunista” le dovrebbe avere, ma dipende da chi lo dirige). Per lui sarà денацификация (denazificazione in russo) un semplice suono, o più facilmente una scusa per annettersi l'Ucraina. Fa molto effetto vedere un esponente del PD metropolitano milanese nel 2014 a braccetto con sostenitori attivi del battaglione Azov (all'epoca detestato anche dal NYT e da Amnesty) poi invitati in una sezione del PD dedicata ad un partigiano. E fa molto effetto che a protestare fossero i piddini di una generazione precedente. Infatti questo giovane esponente PD non era un farabutto, era così che lo disegnavano i tempi. Lui era semplicemente un antirusso che, come tutto il suo partito, seguiva le direttive del Dipartimento di Stato e della Nato.

E in Ucraina ho l'impressione che le cose siano simili. Ora, io non so quali sono le demarcazioni etnico-sociali del sogno liberista europeo. Non conosco la composizione di classe dell'Ucraina e il suo intreccio con le etnie e le lingue. Ma ho il timore che nemmeno il Cremlino, imbevuto di liberismo, abbia studiato il problema. O che addirittura se lo sia posto. Eppure è un problema che può mettere in discussione le certezze o le speranze che si basano su “Kiev luogo di nascita della Russia” o su “l'Ucraina piccola Russia” eccetera. Cose storicamente vere (gli Ucraini si definiscono - definivano? - “piccoli Russi” nel significato di “Russi del nucleo centrale”), ma la Storia non è mai ferma e bisogna saper distinguere ciò che varia da ciò che è invariante. Quando sento gli “esperti” che tirano in ballo questi topos (o meglio “topoi”) come se fossero invarianti, un po' sbadiglio. Ma mi preoccupa pensare che li usino al Cremlino. Non sarà per questo che non c'è (ancora) stata quella rivolta interna contro i neo-nazisti che molti osservatori si aspettavano? Me la spettavo anch'io, e infatti mi sono imposto un ripensamento. Ma se l'aspettavano anche al Cremlino o era esclusa dai calcoli? Per adesso è inutile pensare di ottenere una risposta. Possiamo mantenere solo i dubbi.

Per finire, l'a-liberismo russo, se si concretizzerà, potrà competere con un liberismo europeo in crisi e con un'Europa rinchiusa dagli USA in un recinto per essere tosata?

Facendo finta che gli USA e la Nato non intervengano militarmente o con altri golpe e che la Russia non mantenga un'occupazione militare, chi vincerà la battaglia delle idee nell'era post-contemporanea? Chi sarà in grado di esercitare egemonia invece che dominio? L'Ucraina è un buon test per un problema che si porrà per tutto il mondo. Se non verrà spartita, magari con un pezzetto, tipo Leopoli, alla Polonia e un altro all'Ungheria (è stupefacente come le nazioni da “espressioni geografiche” diventino con pazienza “espressioni politiche” per poi ritornare “espressioni geografiche” in men che non si dica, appena qualcuno abbia interesse a sfruttare differenze linguistiche, religiose, culturali, etniche o di qualsiasi altro tipo - e potrebbe succedere anche a noi qualora entrassimo nel mirino di qualcuno).

Quel che possiamo con buona verosimiglianza prevedere e che i sogni dell'Ucraina di essere annessa all'Europa si scontreranno con l'impossibilità dell'Europa di soccorrerla in un qualsiasi modo significativo, presa come sarà a cercare di non annegare. Sostanzialmente sarà lasciata a se stessa. L'ultimo dono che riceverà dall'Europa saranno le armi perché la sua agonia continui ancora a lungo a beneficio del sogno del New American Century.


C'è un nuovo green pass che ora viene imposto. Viene rilasciato se si sta dalla parte della Nato e degli USA. Io quello vaccinale ce l'ho, ma questo non lo posso avere.

Tutti vogliono sapere da che parte uno sta. Immagino che un russo stia dalla parte della Russia (non sempre) e che uno statunitense stia dalla parte degli Stati Uniti (non sempre). E' abbastanza naturale. E' meno naturale per un europeo. Ed è innaturale per un europeo che detesta la logica dei cicli sistemici, che ovviamente nessuno si è inventata e si è imposta nel corso della Storia, ma cionondimeno è totalmente perversa.

Quando due elefanti litigano è l'erba che ne fa le spese. Ecco, i miei figli sono l'erba e io sto dalla parte dell'erba.



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