Con il consenso dell'amico Visalli rilancio questo post appena apparso sul suo blog e dedicato alle posizioni politiche del movimento guidato da Sahra Wagenknecht, un testo che condivido pienamente, nella misura in cui mi pare che quello fondato dalla ex segretaria della Linke sia l'unico progetto politico europeo che stia compiendo qualche passo nella direzione che tutte le forze antimperialiste del Vecchio Continente dovrebbero a mio avviso imboccare.
Carlo Formenti
Circa Sahra Wagenknecht ed i suoi dintorni
di Alessandro Visalli
Nel mio libro del 2023, “Classe e Partito” (1), sulla base dell’analisi materialista degli stessi Inglehart (2) e Beck (3), proponevo di collegare la revoca delle basi materiali di esistenza, e quindi dell’essere sociale, del compromesso keynesiano, nelle quali siamo immersi, alla dissoluzione delle forme di coscienza dello stesso. Ovvero, se pure con gli slittamenti e sfalsamenti necessari, di riconoscere che la tendenza all’individualizzazione di cui parlava Inglehart, la dissoluzione della classe per sé di cui parlava Beck, la dissoluzione della società di cui parlava Laclau (4), le politiche dell’esistenza di Giddens (5), l’ambiente post-metafisico di Habermas, stanno terminando insieme alla revoca delle loro condizioni materiali di esistenza ed emergenza. Questa tesi è, in particolare, descritta nel quadro di quella che chiamavo “la revoca” del compromesso keynesiano, nella quale seguendo la traccia aperta dalla destra libertaria, ma anche le rivolte giovanili ‘artistiche’ di cui parlano in modo esemplare e forse insuperato Boltanski e Chiappello nel loro capolavoro “Il nuovo spirito del capitalismo” (6), quando identificano una nuova configurazione ideologica (nella quale oggi viviamo, forse al prodromo del suo tramonto) nelle ‘aree spia’ del discorso del management motivazionale e nella ‘città per progetti’, viene proposta una nuova forma di trascendenza imperniata sull’individuo meritevole, antiutoritario, liberato e cosmopolita, moralmente avanzato ed autentico (7) Chiaramente si è trattato di un ideale per pochi, egemone per effetto della dissoluzione del contesto ‘moderno’, nel quale la centralità del lavoro e delle agende materialistiche creava la condizione di una dialettica tra classi riconoscibili (8). Questo ambiente, questo Nuovo Spirito, nel quale abbiamo vissuto a partire dalla metà, circa, degli anni Ottanta fin oltre gli anni Zero del nuovo millennio e che, da allora, perde spinta, è stato egemonizzato dai movimenti “a singola scelta” (9) la cui provenienza di classe appare, a ben guardarla, evidente con l’immediatezza di un riconoscimento fisiognomico.
Il problema è che questa “revoca” per eccesso di successo ha scavato sotto i propri piedi, creando per troppi un ambiente sociale ed esistenziale nel quale il ‘rischio’ di cui allora parlavano con toni positivi sia Beck sia Giddens (ma, in sostanza, tutti i sociologi alla metà degli euforici anni Novanta) ha finito per estenuare il consenso su questo assetto sociale soffocante. La medesima flessibilità che allora appariva ai più liberatoria, dalla società burocratica e organizzata del dopoguerra, ora appare un incubo fatto di angoscia esistenziale, incertezza e narcisismo (10). Il primo sintomo, ma transitorio, è stato l’emergere del ‘Momento populista’ di cui parlava, ad esempio, Carlo Formenti nel suo “La variante populista” (11). In una lunga fase, che ha avuto una fase ascendente negli anni Dieci, a seguito dell’allargarsi della dinamica a cascata delle crisi multiple aperte dal crac del 2007-8 (crisi finanziaria, poi fiscale, quindi politica e sociale), sulla base di quella che, con immagine efficace Moreno Pasquinelli una volta chiamato “la poltiglia sociale prodotta dal tardo capitalismo”, ha preso forma una stagione internazionale di mobilitazioni egemonizzate dai ceti medi ‘riflessivi’, sovraistruiti e sottoimpiegati dalle forme economiche ‘flessibili’(12). Andando alla tesi avanzata nel mio libro, e che certo non posso qui riprodurre nella sua estensione, il populismo, sulla base dei materiali suscitati ispirato ad uno spirito inevitabilmente anarco-libertario e conservatore, è solo il primo segnale che l’essere sociale sta mutando. Ma, allo stesso tempo, sostengo, ne è solo un fenomeno di superficie, preliminare e largamente ‘morboso’ (per usare il noto termine Gramsciano) (13). Abbiamo bisogno di altro e di più: è necessaria la creazione di un ordine sociale che non sia un fragilissimo calice di cristallo; di articolare il bisogno di protezione ed, al contempo, sfidare il principio religioso inconsapevole che affida la salvezza ad un mercato visto come insieme delle libertà originali di un uomo antecedente all’ordine sociale; della risoluzione della contraddizione neoliberale tra protezione pubblica ed ordine sociale (14).
La mia tesi è che a partire dalla crisi spia della fine degli anni Zero, progressivamente e sulla base degli stessi fallimenti delle mobilitazioni populiste, inizia ad accadere qualcosa di nuovo: la coscienza si riallinea all’essere sociale, dato che, come abbiamo detto, il neoliberismo ha scavato sotto i suoi piedi. Secondo i termini che proponevo di considerare, la maturazione della ‘revoca della revoca’ (15) fa anche venire meno la fase ‘populista’ iniziale nella quale movimenti egemonizzati dai lavoratori della conoscenza, esprimono, nel vuoto dei quadri di senso novecenteschi, la particolare e familiare miscela di individualismo edonista frustrato, rancore cieco, e spinta alla socializzazione destrutturata. Il ritorno alla durezza materiale porterà alla ripresa delle personalità ‘materialiste’ e con esse della lotta di classe, propriamente intesa.
Superata questa lunga premessa, l’interpretazione che propongo è che, nelle particolari condizioni sociali e politiche della Germania orientale, in cui la distruzione della forma del compromesso fordista in salsa socialista, è stata particolarmente brutale e prolungata nel tempo, il successo della formazione della Wagenknecht mostra questa tendenza. Nell’intervista per New Left Review, dell’aprile 2024, pubblicata su L’Antidiplomatico ( 16) il politico tedesco illustra perfettamente un’agenda politica post-populista e direttamente imperniata su temi materiali che prendono atto dell’esaurimento delle “politiche dell’identità”. Si tratta di una proposta anche post-ideologica nel senso che non guarda alle famiglie politiche della sinistra o destra, ed alle loro marcature simboliche, ma ostinatamente alla loro base di interessi materiali. Ne consegue che non ha alcuna remora a sostenere le imprese del Mittelstand, da una parte, e contrastare gli effetti sociali sui ceti bassi delle politiche ambientali, dall’altra. O di opporsi senza esitazioni la guerra alla Russia e al contrasto alla Cina sulla base di argomenti pragmatici, ignorando l’agenda identitaria occidentale fondata su una pelosa retorica democratica di marca suprematista. Punta a costruire una posizione sull’immigrazione pragmatica, di basilare buon senso, e ben equilibrata (che guarda alle condizioni dei ceti popolari e non al bisogno di badanti delle classi medie superiori, senza negare che una certa immigrazione è necessaria e tutti devono essere aiutati (17)).
Ancora, nel quadro concreto di una competizione elettorale nella quale la BsW si oppone, periferia per periferia, all’ascesa della AfD, ricorda che “la migrazione avverrà sempre in un mondo aperto” e che “spesso può essere un arricchimento per entrambe le parti”, ma, anche, che “è essenziale che la sua portata non sfugga di mano” e che “le ondate migratorie improvvise siano tenute sotto controllo”. Ricordando che l’ascesa imperiosa del razzismo, e della xenofobia, e quindi della AfD è figlia della Merkel.
Infine, non ha paura di dire che la BsW è a favore della transizione energetica e delle politiche ambientali, necessarie, ma non dell’impostazione dei Verdi tedeschi (espressione politica delle classi più alte ed incluse della società) che le fa pagare ai cittadini sulla base di un’impostazione arrogante ed autocompiaciuta. Quella per la quale sembrano dire: “Siamo i più virtuosi, perché possiamo permetterci di comprare cibo biologico. Possiamo permetterci una cargo bike. Possiamo permetterci di installare una pompa di calore. Possiamo permetterci tutto”. Incarnano, ovvero, “un senso di autocompiacimento, anche se fanno aumentare il costo della vita per le persone che faticano a tirare avanti”. Bisogna, infatti, impostare politiche ambientali che “la grande maggioranza delle persone può accettare, sia dal punto di vista economico che sociale”, con “ampia copertura pubblica”.
Nel suo “Contro la sinistra neoliberale” (18), la parte più forte è quella in cui denuncia i “moralisti senza empatia” della “sinistra alla moda”, la quale, ottenuto ormai l’essenziale e messa al sicuro la propria vita (a volte per generazioni), si concentra sul linguaggio e si sente così in alto da essere solo cittadina del mondo (ovvero di nessun posto). Una sinistra, lo dicono tutte le indagini post elettorali dell’Occidente ormai da decenni, che si aggrega nei luoghi ‘centrali’ e connessi, frequenta solo se stessa specchiandosi beata. Ottiene professioni ben pagate nel settore dei servizi avanzati, si sente liberale perché se lo può ben permettere. Una sinistra che vive nel vuoto e lo coltiva.
Quindi bisogna avere bisogno degli altri. Cercare il pieno, non il vuoto. Individuare il senso della vita non nella ‘immane collezione di merci’ (19), ma, piuttosto nel sentirsi parte di una comunità, in termini della condivisione di un’appartenenza e di un progetto di futuro (20). Un’appartenenza, anche, ad una ‘nazione’, termine che la politica tedesca ricorda giustamente essere figlio della rivoluzione francese, non avere base etnica, né religiosa, né, tantomeno, razziale. Senza paura di riferirsi anche al valore delle tradizioni (tra queste sono anche quelle delle democrazie popolari, di massa, ormai tanto lontane da noi sotto l’effetto della spinta della reazione neoliberale degli anni Ottanta e Novanta).
Con questa agenda, spiegabile secondo il metodo della deduzione sociale delle categorie, è perfettamente logico che si trovi nel suo discorso anche un apprezzamento per la CDU pre svolta neoliberale, ed un “capitalismo addomesticato, con una forte componente sociale”, e, al contempo, trovi il suo posto la critica della svolta verso le ‘politiche dell’identità’ (tardiva e difensiva) della Die Linke che ha lasciato a suo tempo. Quindi l’attacco ai “discorsi privilegiati”, sulla “diversità”, che sono alienanti per elettori che in sostanza vogliono, piuttosto, “pensioni dignitose, salari dignitosi, e pari diritti”. Tutto ciò, di nuovo, precisando che “siamo favorevoli a che tutti possano vivere e amare come desiderano. Ma c’è un tipo esagerato di politica identitaria in cui devi scusarti se parli di un argomento se non hai un background migratorio, o devi scusarti perché sei etero”.
Nel post “Poche note” (21), in questo stesso blog sostenevo, in linea con questa proposta, che è il momento di aggiornare l’analisi concreta. Sfuggire al gioco specifico dell’Occidente della lotta culturale intorno all’ombelico, agli intrattenimenti. All’inseguimento eterno di aggregazioni di nuvole di senso continuamente riaggregate intorno nuovi significanti vuoti di cui sembra esserci cataloghi infiniti. Di cui ci sono continue riproposizioni e provocazioni sempre più creative. È il momento di tornare alla durezza di un’analisi che sta alle cose, ai fatti. Come scrivevo questi fatti oggi sono la postura neocoloniale e la guerra tra neoblocchi, contemporaneamente di potenza e di civilizzazione, che si affaccia prepotentemente sulla scena del mondo. Si affaccia e pretende la mobilitazione totale contro l’Altro, del quale si nega in effetti la stessa esistenza come tale. Mobilitazione che oblia l’intera storia di scambi, arricchimenti reciproci, densa presenza, per richiedere solo l’ossessiva affermazione di sé come ‘eletto’; legittimato alla completa distruzione, fisica e morale di chi non riconosce l’altura morale sulla quale pretendiamo essere (22).
In attesa di parole migliori Sahra chiama questa posizione “sinistra conservatrice”, ma, precisa, è “un po’ di più di un revival di sinistra”, incorporando anche altre tradizioni il cui catalogo segnala.
Si tratta piuttosto di un nuovo essere sociale che inizia a tradursi in forma politica:
- - buon senso economico,
- - giustizia sociale,
- - pace,
- - libertà di espressione (che supera il politicamente corretto).
Tutto semplice, in fondo.
Note
1) Alessandro Visalli, Classe e partito, Meltemi, Milano, 2023.
(2) Si veda, ad esempio, Ronald Inglehart, La società postmoderna, Editori Riuniti, 1998 (ed.or. 1996); Roland Inglehart, Valori e cultura politica, Petrini ed. 1993 (ed. or. 1990).
(3 Si veda Ulrich Beck, Costruire la propria vita, Il Mulino 2008 (ed. or. 1997); Ulrich Beck, Potere e contropotere nell’età globale, Laterza 2010 (ed. or. 2002); Ulrich Beck, La società del rischio, Carocci 2001 (ed. or. 1981); Ulrich Beck, I rischi della libertà, Il Mulino 2000 (ed. or. 1994).
(4) Ernesto Laclau, La ragione populista, Laterza 2008 (ed.or. 2005); Ernesto Laclau, Marxismo e populismo, Castelvecchi 2018; Ernesto Laclau, Le fondamenta retoriche della società, Mimesis, 2017 (ed. or. 2104); Ernesto Laclau, Emancipazione, Orthonsesis 2016 (ed. or. 1996); Ernesto Laclau, Politica e ideologia nella teoria marxista, Castelvecchi 2021 (ed. or. 2012.
(5) Si veda Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino 1994 (ed. or. 1990); Anthony Giddens, Identità e società moderna, Ipermedium libri, Napoli 1999 (ed. or. 1991).
(6 )Luc Boltanski, Éve Chiappello, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, 2014 (ed. or. 1999).
(7) Si veda Alessandro Visalli, Classe e partito, cit., p. 147.
(8) Se pure solo idealmente rappresentabili come “borghesia” e “proletariato” (termine duale in effetti mai realmente esistito, ma sempre effetto di una struttura discorsiva imposta da una lotta politica).
(9) I quali rinunciano a proporre un progetto complessivo di società, in favore dell’emersione di un tema, proposto costantemente come ‘emergenza’: la liberazione sessuale (a partire dagli anni Sessanta almeno), il razzismo, la libertà di orientamento personale, la crisi climatica ed ambientale, il femminismo. Al posto della frattura di classe ne sono proposte altre che tagliano diagonalmente il corpo sociale, rendendo di fatto impossibile la mobilitazione in favore di un cambiamento ‘modale’ (ovvero del modo di produzione).
(10) Su questo termine cruciale si veda Richard Sennett. A partire dal suo studio del 1974, Il declino dell’uomo pubblico, Bruno Mondadori, 2006. Quindi, Richard Sennett, L’uomo flessibile, Feltrinelli 1999; Richard Sennett, La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino 2006. Ma anche, Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, Colibrì, 2020 (ed. or. 1979).
(11) Carlo Formenti, La variante populista, Derive e Approdi, 2016. Poi si veda, dello stesso autore, Carlo Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo!, Meltemi 2019; Carlo Formenti, Guerra e Rivoluzione, Meltemi 2023.
(12) Secondo il termine proposto da David Harvey. Si veda, ad esempio, David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore 1993, (ed. or. 1990); David Harvey, Breve storia del neoliberismo, Il Saggiatore, 2007 (ed. or. 2005); David Harvey, L’enigma del capitale, Feltrinelli, 2011 (ed. or. 2010).
(13) Si veda, Alessandro Visalli, op.cit., p. 316.
(14) Per questa agenda si veda idem, p. 327 e pag. 295. Al contempo si veda, per una più estesa chiarificazione, il bel libro di Onofrio Romano, La libertà verticale, Meltemi 2019.
(15) Si veda, Idem, cap. 3.5 “La revoca della revoca: il ritorno della storia”, p. 174 e seg.
(16) “La Germania (e l’Europa) che ha in mente Sahra Wagenknecht”, L’Antidiplomatico, 12 settembre 2024.
(17) Personalmente, intorno al 2018-19, ho a lungo scritto su questo tema. Uno dei post più completi è “Immigrazione e questione sociale”, Tempofertile, 19 settembre 2018, quindi, “Uscendo dall’ipocrisia dei rispettivi muri: cosa significa accogliere”, Tempofertile, 13 gennaio 2019.
(18) Sahra Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, Fazi Editore 2022 (ed.or. 2021).
(19) “La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta come una ‘immane raccolta di merci’”, Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Cap. I, Einaudi, Torino, 2024, p. 41.
(20) Sahra Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, op.cit., p. 284.
(21) Alessandro Visalli, “Poche note, e provvisorie”, Tempofertile, 8 settembre 2024.
(22) Si veda, ad esempio, Alessandro Visalli, “La fine della modernità. Logiche della dipendenza e dei sistemi-mondo”, Tempofertile, 26 aprile 2024; ma anche Alessandro Visalli, “Circa Trump”, Tempofertile, 4 agosto 2024; infine, Alessandro Visalli, “Si intravede”, Tempofertile 15 giugno 2024.
Nessun commento:
Posta un commento