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venerdì 30 aprile 2021




    IL GRANDE GIOCO DI LENIN 



La distinzione fra marxismo orientale e occidentale, proposta dal filosofo Domenico Losurdo (1), è senza dubbio una delle più efficaci chiavi interpretative per comprendere un ampio ventaglio di fenomeni contemporanei: dal clamoroso successo della via cinese al socialismo al fallimento dei partiti comunisti occidentali, trasformatisi – salvo meritevoli eccezioni – in altrettante varianti “di sinistra” dell’ideologia liberale, che oggi esercita un’egemonia incontrastata sull’intero emisfero occidentale; dal fatto che le uniche rivoluzioni socialiste vittoriose sono avvenute – contro le previsioni di Marx ed Engels - in Paesi industrialmente arretrati e non laddove le forze produttive erano più sviluppate, al fatto che la questione nazionale – della quale quasi il solo Lenin seppe valutare adeguatamente il peso strategico – ha finito per svolgere un ruolo più importante delle lotte del proletariato industriale delle metropoli come fattore di resistenza alle politiche imperialiste. Non intendo tornare qui sull’ampio e complesso dibattito teorico suscitato dalle tesi di Losurdo, cui ho dato a mia volta un sia pur modesto contributo (2). Voglio piuttosto sfruttare le suggestioni inspiratemi dalla lettura di un affascinante libro del giornalista inglese Peter Hopkirk (Avanzando nell’Oriente in fiamme. Il sogno di Lenin di un impero in Asia, Mimesis editore), per mettere in luce come la storia - poco conosciuta - di eventi accaduti in Asia Centrale nei decenni immediatamente successivi alla Rivoluzione d’Ottobre, offra una conferma empirica alla validità del punto di vista di Losurdo. 

Attingendo a documenti dei governi inglesi dell’epoca, a vecchi articoli di riviste e giornali, ma soprattutto alle memorie di alcune spie britanniche, di russi bianchi e di ex bolscevichi fuggiti dall’Unione Sovietica, Hopkirk descrive la spietata guerra che, dal 1920 alla metà degli anni Trenta, oppose – perlopiù indirettamente, appoggiando l’una o l’altra delle fazioni ed etnie locali in conflitto reciproco – inglesi e russi su un’area di migliaia di chilometri che si estende dall’Afghanistan alla Mongolia, passando per lo Xinjiang. Rievocando il Grande Gioco, che già aveva opposto la Russia zarista e l’Impero inglese, i quali si contendevano il controllo di quegli stessi territori – immortalato da Rudyard Kipling nel suo famoso romanzo Kim - Hopkirk presenta le storie che racconta come una sorta di Grande Gioco 2.0, tende cioè a descriverle come una “seconda puntata” - sostanzialmente in continuità sul piano geopolitico – con il conflitto precedente. Ciò emerge chiaramente dal sottotitolo “Il sogno di Lenin di un impero in Asia”, che allude esplicitamente a una supposta continuità fra le mire espansioniste degli zar in Asia e quelle del leader della Rivoluzione d’Ottobre. Mire alle quali gli inglesi si opposero con tanta maggiore energia in quanto, a quei tempi, rappresentavano l’avanguardia del fronte capitalista mondiale che tentava di soffocare sul nascere la minaccia bolscevica. 

È il caso si chiarire subito che il punto di vista di Hopkirk è tutt’altro che obiettivo: nella sua narrazione ai russi (o meglio ai bolscevichi, perché con i russi bianchi adotta tutt’altro atteggiamento) spetta la parte dei cattivi e agli inglesi quella dei buoni, senza se e senza ma. Così le imprese dell’agente britannico Frederick Marsham Bailey, maestro di travestimenti e astuto manipolatore di uomini, vengono descritte con lo stesso entusiasmo con cui Ian Fleming ha costruito il mito del suo eroe immaginario, James Bond. Lo stesso dicasi per Percy Thomas Etherton, incaricato di presidiare lo Xinjiang, impedendo qualsiasi cedimento del debole governo cinese alle mire egemoniche dei sovietici, o della spia al servizio dei Bianchi Pavel Nazarov. Sul fronte opposto i bolscevichi vengono viceversa descritti come bande disorganizzate, guidate da comandanti tanto feroci quanto sprovveduti, i quali, in assenza dell’appoggio della lontanissima Mosca, riescono a stento a controllare la resistenza delle tribù musulmane centroasiatiche che li considerano invasori al pari degli zaristi (Hopkirk insiste sull’atteggiamento neocoloniale dei bolscevichi, sostenendo che le spie britanniche potevano contare sul risentimento delle popolazioni autoctone nei loro confronti). Che poi gli eserciti dei “resistenti” – siano essi locali o russi bianchi – alleati degli inglesi si rivelassero ben più feroci dei bolscevichi è un dettaglio che non turba Hopkirk: lo ammette senza reticenze, ma lascia al tempo stesso capire che, per preservare gli interessi dell’Impero, tutto era lecito. 

Il "barone pazzo"



Il libro descrive l’ascesa e la caduta di una serie di signori della guerra come il barone pazzo von Ungern-Sternberg, un generale bianco rifugiatosi in Mongolia dove sperava di emulare le gesta di Gengis Kahn, del quale credeva di essere la reincarnazione, il generale Enver Pasha, fuggito dalla Turchia dopo la rivoluzione di Ataturk, inseguendo il sogno di creare un proprio impero personale unificando tutte le etnie centroasiatiche di religione islamica, e Ma Zhongying, un brigante che per poco non riuscì a conquistare lo Xinjiang. Tutti costoro vengono liquidati a mano a mano che la presa dell’Unione Sovietica su quei remoti territori si fa più salda, grazie all’arrivo di reparti scelti dell’Armata Rossa guidati dal generale Frunze, che si rendono disponibili dopo avere sbaragliato la resistenza dei Bianchi sui fronti occidentali. 


Il generale Frunze




Tuttavia, benché il racconto di queste storie sia affascinante, rivelando fatti storici noti solo agli specialisti di quel periodo e di quelle regioni, la cosa più interessante, come stiamo per vedere è un’altra. È chiaro che Lenin, e più in generale il partito bolscevico, non erano tanto sprovveduti da sognare di costruire un impero in Asia – come recita il sottotitolo del libro -, dal momento che la debolezza economica e industriale della Russia postrivoluzionaria, l’assedio da parte dell’intero concerto delle potenze occidentali, e la necessità di consolidare il regime nei suoi primi anni di vita, facevano sì che la mera sopravvivenza della neonata repubblica fosse allora l’obiettivo più ambizioso perseguibile. Ciò che faceva davvero paura a Londra, come lo stesso Hopkirk spiega, è il cambiamento degli obiettivi di politica internazionale voluto da Lenin dopo il fallimento delle rivoluzioni in Europa occidentale (in Germania e Ungheria, per tacere dell’avanzata fascista in Italia). Coerentemente con la sua analisi dell’Imperialismo, e con la comprensione del ruolo strategico che le lotte dei popoli coloniali avrebbero potuto svolgere per accelerare la prospettiva di una rivoluzione socialista mondiale, l’attenzione di Lenin si sposta decisamente ad Oriente. Se gli imperialisti accerchiano la Russia, e se dai proletari dei loro Paesi non ci si può più aspettare un appoggio decisivo, allora non resta che contro accerchiarli, sottraendo loro il controllo e il dominio sulle colonie, dalle quali traggono le risorse per garantire l’accumulazione allargata del capitale metropolitano (e la pace sociale, ottenuta distribuendo le briciole del saccheggio coloniale alla classe operaia). 


Soldati dell'Armata Rossa in marcia




Particolarmente interessante, in tal senso, è la ricostruzione che Hopkirk fa del rapporto privilegiato che Lenin instaura con il comunista indiano Manabendra Nath Roy, uno dei pochi “cattivi” nei confronti dei quali Hopkirk non può esimersi di esprimere ammirazione per il coraggio, lo spirito di iniziativa e l’intelligenza che saprà manifestare, sia barcamenandosi nei meandri delle diverse correnti presenti nel Comintern della Terza Internazionale, sia quando sarà inviato sul campo per coordinare gli agenti comunisti infiltrati in Afghanistan e in India, con lo scopo di scatenare una rivolta contro il dominio coloniale inglese. Lenin infatti individua giustamente nell’imperialismo inglese il nemico principale e nel subcontinente indiano la sua miniera d’oro, perdendo la quale perderebbe gran parte del suo potere. Nessuna mira “imperiale” dunque, ma un brusco cambio di strategia che, secondo quanto racconta Roy nelle sue memorie - citate da Hopkirk - risultò indigesto ad altri capi bolscevichi (a Zinoviev in particolare), senza che Lenin si lasciasse tuttavia sviare. 


Borodin (al centro) in Cina




Morto Lenin e falliti i tentativi di esportare la rivoluzione in India, Roy viene progressivamente emarginato, mentre l’interesse dell’Unione Sovietica, ora guidata da Stalin, si sposta progressivamente sulla Cina. E qui Hopkirk rende omaggio al coraggio e all’abilità di un altro “cattivo”, quel Michail Borodin che fu appunto incaricato di coordinare le attività del neonato Partito Comunista Cinese. Com’è noto, l’appoggio tattico che Stalin concesse al Kuomintang guidato da Chiang Kai Shek (i comunisti erano stati invitati a entrare nel Kuomintang, agendo come ala sinistra al suo interno) si risolse in un disastro, con il massacro seguito all’insurrezione di Canton, mentre Borodin riuscì avventurosamente a fuggire e rientrare a Mosca (dove ritrovò la moglie che si riteneva fosse stata assassinata dagli sgherri di un signore della guerra cinese). 

Hopkirk conclude recitando il de profundis per il presunto sogno imperiale sovietico in Asia, ma in realtà, al netto dei tanti errori commessi, si può dire che alla lunga distanza la svolta di Lenin abbia prodotto i frutti sperati, ove si consideri che il seme trapiantato in Cina è germogliato nel trionfo del socialismo in quel grande Paese, che ha raccolto l’eredità dell’Unione Sovietica, nella misura in cui incarna il nuovo incubo che turba il sonno dell’imperialismo occidentale (che oggi ha dismesso l’Union Jack per ammantarsi della bandiera a stelle e strisce). Tornando a Losurdo, questo racconto – ancorché apologetico nei confronti dell’Occidente - ci aiuta a collocare con una certa precisione (diciamo fra il 1920 e il 1924) la data del divorzio fra marxismo occidentale e marxismo occidentale. Divorzio che – come auspicava lo stesso Losurdo - si spera possa essere sanato quanto prima con la rinascita del marxismo occidentale. 

Un ultima cosa: agli appassionati del fumetto d’autore, e in particolare delle graphic novel di Hugo Pratt, consiglio di procurarsi Lanterne Rosse, un album che contiene un’avventura di Corto Maltese ambientata negli stessi luoghi e nello stesso periodo di cui abbiamo appena parlato (nella storia compare anche, fra gli altri il barone pazzo von Ungern-Sternberg).

NOTE
(1) Cfr. D. Losurdo, Il marxismno occidentale. Come nacque, comne morì, come può rinascere, Laterza, Roma-Bari 2017
(2) Cfr. C. Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo, Meltemi, Milano 2019. 

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