Lettori fissi

venerdì 24 febbraio 2023

DIDATTICA RUSSA

di Piero Pagliani


Ricevo dall'amico Piero Pagliani questo bell'articolo che, prendendo le mosse dalle traiettorie divergenti che hanno imboccato i sistemi formativi russo e americano (il primo che si prepara a tornare al modello sovietico, il secondo allegramente in marcia verso il degrado), approfondisce le riflessioni geopolitiche che Piero ci aveva ha già regalato in precedenti occasioni sulle ragioni profonde del conflitto, vale a dire sull'incapacità/impossibilità della superpotenza statunitense di adattarsi a un mondo multipolare. PS. Ho lasciato il titolo dell'autore anche se io avrei preferito qualcosa come "Usa: il declino inizia sui banchi di scuola".



Vorrei porre l'accento su un passaggio del recente discorso di Putin alla Duma che è stato trascurato dai nostri media e dai nostri “esperti” cavernicoli (cioè che pensano solo la clava, di cui parlerò solo dopo). Il passaggio riguarda la necessità di una riforma del sistema formativo russo:


«Il primo punto è tornare alla formazione di base di specialisti con istruzione superiore tradizionale per il nostro paese. Il periodo di studio può essere da quattro a sei anni. Allo stesso tempo, anche all'interno della stessa specialità e di un'università, possono essere offerti programmi che differiscono in termini di formazione, a seconda della specifica professione, e della richiesta dell'industria e del mercato del lavoro. In secondo luogo, se la professione richiede una formazione aggiuntiva, una specializzazione focalizzata, allora in questo caso il giovane potrà continuare la sua formazione in un corso magistrale  o residenziale. In terzo luogo, gli studi post-laurea saranno assegnati come livello separato di istruzione professionale, il cui compito è formare il personale per le attività scientifiche e didattiche». 


L'emblema del Ministero dell'Istruzione russo



Questo è sostanzialmente un ritorno al sistema d'istruzione sovietico, come ha fatto notare qualcuno che ha vissuto in Russia durante quel periodo. Ma se si fa attenzione si nota che era molto simile al nostro sistema formativo prima della riforma Berlinguer, prima del “Processo di Bologna” con cui la UE sta cercando di condannare i nostri giovani all'ignoranza all'americana. 

Una revisione del sistema formativo europeo per adeguarsi, per dirla in termini generali, alla crescente concentrazione di expertise in poche persone e in pochi punti (per le multinazionali, ad esempio, in una singola località per intere aree geografiche transnazionali), dovuta al progresso tecnologico (ad esempio nel campo informatico installazioni che una volta venivano fatte da un team in diverse settimane, adesso possono essere fatte da una persona mentre si beve un caffè e, soprattutto, non sa assolutamente nulla di quel che sta succedendo nel suo computer), alla delocalizzazione e alla finanziarizzazione. 

E giù per li rami, intrecciandosi con altri problemi “ambientali” e alle idee strampalate (diciamo così),  ideologiche, avversarie della speculazione e della concettualizzazione della “pedagogia progressista”, ne ha risentito tutto il sistema scolastico.

Ecco, se volete, alcune testimonianze personali, da prendere per quel che valgono. 

Io non sono un accademico, ma nella mia disordinata vita sono stato membro di una commissione di laurea di Filosofia e di una di Matematica. Ero là per “chiara fama” come spiritosamente si dice, ma la cosa importante è che avevo seguito delle tesi per il quadriennio (perché allora c'era il quadriennio) dell'una e dell'altra facoltà, in cui i candidati, assieme a me, avevano studiato problemi di Logica e di Algebra che io gli avevo sottoposto e che mi interessavano.

Ignorando gli effetti della suddetta “riforma”, dato che il mondo accademico non mi interessava direttamente poiché non vi lavoravo se non saltuariamente, qualche anno dopo chiesi a una amica ordinaria in un'università romana, se aveva degli allievi che volessero fare una tesi su alcuni problemi su   cui in quel momento ero impegnato (relativi a certe tecniche di ciò che pomposamente si chiama “Intelligenza Artificiale”). Mi rispose, per dirla con Omero, con un misto di pianti almo sorriso in questo modo: “Tu non sai che livello disastroso hanno le tesi triennali!”.

Un amico britannico che insegnava Storia alla Cabot University di Roma, frequentata da rampolli statunitensi di alto lignaggio, un giorno si disperò con me dei suoi allievi: “Non sanno nemmeno se è venuta prima la Guerra d'Indipendenza o quella di Secessione. E non ci arrivano nemmeno con la logica” (non poteva esserci una guerra di secessione prima dell'indipendenza, ovviamente).

Ma se queste sono due testimonianze che possono lasciare il tempo che trovano, ecco cosa ci dice una recentissima survey statunitense sulle scuole dell'Illinois: nessuno studente conosce la matematica richiesta dal grado e nessuno sa leggere al livello richiesto dal grado scolastico (Not a single student can read at grade level in 30 Illinois schools. Not a single student can do math at grade level in 53 Illinois schools).

Una trentina di anni fa, sempre per il mio lavoro sull'Intelligenza Artificiale, in quel caso applicata all'apprendimento, ebbi un incontro con un alto funzionario del Dipartimento dell'Istruzione degli Stati Uniti. Si metteva le mani nei capelli: “Siamo in una situazione tragica. E non sappiamo come uscirne. Abbiamo tentato inondando le scuole di computer, ma è stato ancora peggio”. 

Lui sapeva le cose e ci ragionava sopra, ma se si leggono i CV dei consulenti governativi odierni e dei collaboratori delle pubblicazioni collegate al Dipartimento di Stato e alla Difesa, si rimane sbalorditi: delle nullità “esperte” in cose che sarebbero utili per intrattenere conversazioni in qualche salotto, ma non per governare una potenza, nemmeno di piccolo cabotaggio. E si tenga poi conto che gli USA si dibattono da tempo nel problema (anche nel senso che c'è chi lo solleva) dei piani di studio da supermarket dei college e delle università: un po' di questo, un po' di quello, un pizzico di quest'altro; di questa materia q. b., come in una ricetta di cucina.

I test d'ingresso all'MIT sono più facili dei test richiesti in classe a uno studente russo a metà del liceo e si sta anche pensando all'esenzione dai test in base alla “positive discrimination”, quindi per i neri e per altre minoranze.


Insomma, quando si è in declino si è in declino, su tutti i fronti, in un triplice avvitamento materiale, ideale e morale senza fine. Quei trent'anni di finanziarizzazione selvaggia hanno arricchito a dismisura pochissimi, hanno impoverito a volte fino alla disperazione moltissimi e in più hanno fatto piazza pulita di ogni contatto della classe dirigente e dei suoi funzionari con la realtà. Ad onta di tutta la retorica bellica, siamo noi che stiamo distruggendo la civiltà occidentale, non i nostri presunti nemici.


Per quanto riguarda la clava, ricollegandoci direttamente a quanto detto prima, cosa possiamo pensare di un titolo della CNN come questo: “The West’s hardest task in Ukraine: Convincing Putin he’s losing”. 

E' scritto da Stephen Collison. Lui in realtà è nato negli UK, ma ha lo stesso problema: essere esperto dell'aria fritta (in questo caso delle campagne elettorali statunitensi). E infatti questo evanescente geopolitico si è inventato una mirabolante strategia: convincere il nemico che lui sta perdendo. 

Insomma, uno strabiliante “cavallo di troia” psicologico, che la dice lunga sul modo di ragionare corrente negli States.

Il nemico sta così tanto perdendo, senza accorgersene, che il Washington Post (leggi CIA), pone  speranze, alternate a paure e a volte isterismi, sulla prossima visita di Xi a Putin (preparata dalla visita di questi giorni a Mosca del Consigliere di Stato Wang Yi) e sul ripetuto desiderio cinese che la guerra finisca al più presto. 

Anch'io spero che questa guerra termini al più presto. E' da un anno che lo spero. Ma devo pormi delle domande e fare ragionamenti. Domande e ragionamenti che seppur influenzati dai miei timori (e come si fa a non essere spaventati dal confronto militare tra due superpotenze atomiche?) non sono però dettati dalla disperazione di cui oggi è preda una banda di politici arroganti e incoscienti che si sono infilati in un pericolosissimo cul-de-sac, ma da considerazioni realistiche. Considerazioni che non si possono ignorare a prescindere da ogni altra valutazione.


Xi cercherà di persuadere Putin a ritirarsi dal Donbass (e magari anche dalla Crimea), cioè ad accettare i vaneggiamenti di Zelensky e dei crazy freaks in Washington, per arrivare alla pace? 

Io credo di no. E per diversi motivi:

1) Intanto non credo che Xi farà nessuna opera di persuasione. La Cina militarmente è “al carro” della Russia e sa che finché gli USA e la Nato saranno impegnati in Ucraina non faranno la guerra a lei. Nel frattempo Pechino si potrà preparare ad affrontare, militarmente ed economicamente, le minacce occidentali (già esplicitate da alti livelli politici e militari statunitensi e Nato).

Il problema è che la Russia deve convincere la UE che il problema è tra Mosca e Washington mentre gli USA cercheranno invece di liberare forze mettendo sempre di più in mezzo la UE e trasformandola (sostanzialmente l'hanno già fatto) in appendice civile del Patto Atlantico.

2) La Russia sta pian piano demilitarizzando la Nato, le sta prosciugando gli arsenali e annientandone  l'esercito proxy più potente (Kiev a inizio guerra aveva probabilmente il quinto esercito più potente del mondo, dopo USA, Russia, Cina e Turchia). La Russia non ha fretta, lo schiacciasassi funziona a pieno ritmo.

3) Mosca non accetterà mai un'Ucraina nazificata e nella Nato (e nemmeno la Georgia se per questo) e meno che meno una base USA/Nato a Sebastopoli. 

Per la Russia infatti questa guerra è (anche) una guerra esistenziale. Mentre non lo è né per la UE né per gli USA ma solo per le loro élite cosmopolite finanziarizzate, cioè antisociali. Da un lato abbiamo dunque il peso della terra, della società, della cultura, della Storia, dall'altro l'insostenibile virtualità dei numeri che non enumerano un bel nulla, della cancel culture, della mercificazione del tutto e quindi della leggerezza del niente. Questa asimmetria la dice lunghissima su come non può andare a finire (come andrà a finire io non lo so, ma come non andrà a finire sì).


Puntin con Xi Jinping



Putin ha detto che sospende i trattati START e che quindi la Russia reinizierà i test nucleari “se lo faranno prima gli Usa”. C'è da scandalizzarsi dopo che Washington ha unilateralmente stracciato gli accordi INF sui missili a medio raggio, cioè proprio quegli accordi che preservavano il nostro continente?

Gli Usa battono i piedi: ma come, proprio ora che noi volevamo rilanciare gli START?! Già, ma rilanciare con quali credenziali diplomatiche? Con quelle degli accordi di Minsk traditi in modo premeditato (Merkel e Hollande)? Con quelle delle promesse non mantenute della Nato di non espandersi a Est? Col programma sbandierato ai quattro venti di scagliare l'Ucraina contro la Russia per indebolirla? Col blocco dei negoziati di pace di Istanbul, come ha rivelato l'ex premier israeliano Naftali Bennett? Con le 10.000 sanzioni e passa? Coi piani per fare un golpe a Mosca? Con quelli per smembrare la Russia? Con la riserva di first strike nucleare della New Nuclear Posture?

Per negoziare ci vogliono le condizioni e ci vogliono i diplomatici. Gli Usa hanno fatto piazza pulita delle une e degli altri. A meno che si pensi veramente che come diplomatico Blinken sia allo stesso livello di Lavrov e che la Psaki sia allo stesso livello della Zakharova. E allora non saprei proprio più cosa dire.


Nel frattempo ci sono avvisaglie che potrebbe avverarsi quello che io segnalavo alcuni mesi fa come una possibilità da incubo: allargare la guerra alla Transnistria (regione ex moldava, abitata totalmente da russi e oggi in precario stato di autoproclamata indipendenza). Il presidente della Moldavia, Maia Sandu, è andata a Varsavia, cioè la capitale del Paese in coda per sostituirsi all'Ucraina nella lotta per cercare di far collassare la Russia, una lotta, possiamo dire oggi, “fino all'ultimo slavo”. 


Una mappa della regione contesa della Transnitria



La Sandu ha strillato ai quattro punti cardinali che Putin vuole invadere la Moldavia (glielo avrebbe “rivelato” Zelensky ed è ovviamente un nonsense politico). Mosca dal canto suo ha denunciato che la sua Intelligence è venuta a conoscenza di un piano per un false flag: reparti ucraini travestiti da russi creerebbero un incidente per poter poi “come difesa” far assalire la Transnistria da forze congiunte ucraine e moldave (e probabilmente polacche). Nota: la Costituzione moldava vieta alleanze militari, ma sgretolare de jure le migliori Costituzioni (si veda ad esempio da noi l'inaudito obbligo, introdotto da Monti, di pareggio di bilancio, che potrebbe far arrestare un redivivo Lord Keynes per “attentato alla Costituzione”) o de facto, sembra che sia un mandato (statunitense) dei governanti europei tutti.

Per buona misura, il segretario dell'Organizzazione Atlantica, Stoltenberg, farà firmare ai Paesi aderenti un accordo per impegnarli in “out-of-area, non-Article 5 events”, cioè eventi bellici non difensivi in aree remote.

E' l'ufficializzazione dello scopo aggressivo della Nato (forse non tutti sanno che c'è già da tempo una medaglia “Non Article 5 Nato”. Ne hanno elargite un bel po' per premiare gli artefici dello smembramento della ex Jugoslavia). 

Essendo per la Russia una guerra esistenziale, la combatterà fino in fondo, costi quel che costi, anche contro tutta la Nato (cosa che già mette in conto). Che sia giusto o sbagliato, augurabile o deprecabile, questo è un dato di fatto. Questo dato di fatto se da una parte è atroce, dall'altra potrebbe avere una conseguenza positiva: le forze che negli USA si oppongono alla politica suicida/omicida dei neo-liberal-cons, potrebbero essere costrette ad agire. Io mi aspetterei in questo caso un qualche Watergate all'incontrario, cioè per scalzare Biden e la sua corte dei miracoli di crazy freaks e arrivare a un negoziato in cui gli Stati Uniti useranno la loro (grande) forza residua e il proprio (grande) peso residuo per adattarsi (termine darwiniano), alle migliori condizioni possibili, al nuovo mondo multipolare, cioè all'ambiente circostante. L'alternativa è una darwiniana estinzione.

Non è certo il modo migliore per arrivare alla pace, è un détour lungo e insidioso, ma forse, e lo dico con angoscia, è l'unico modo quando a governare sono degli psicopatici sempre più avvitati nei loro deliri.

Il grande ostacolo è l'ormai ipertrofica ideologizzazione anti-russa, anti-cinese, anti tutto ciò che non è listato come “occidentale” da Washington e Londra (qui ci sono i maestri del razzismo geopolitico). Cioè il grande ostacolo sono le nostre teste finanziarizzate e decerebrate, che vedono i sorci verdi dopo la sbronza della lunga Belle Époque della “Milano da bere”. 

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