Lettori fissi

sabato 16 gennaio 2021


 QUEI PREPARATIVI PER METTERE FUORI LEGGE I COMUNISTI

In una risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019 leggiamo i  seguenti passaggi:  si "sottolinea che la Seconda guerra mondiale è iniziata come conseguenza immediata del famigerato trattato di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop, e dei suoi protocolli segreti"; si "ricorda che i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell'umanità, e si rammenta l'orrendo crimine dell'Olocausto perpetrato dal regime nazista"; si "condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l'umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari"; si esprime "inquietudine per l'uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali" ricordando che "alcuni paesi europei hanno vietato l'uso di simboli sia nazisti che comunisti" (l’aspetto paradossale di tale divieto consiste nel fatto che fa apparire la Russia di Putin, dove il partito comunista è legale in barba alla tenacia con cui si è tentato di estirparne la memoria, assai più democratica dei dirimpettai occidentali).    
Ad eccezione di alcune blande proteste delle sinistre cosiddette radicali, questa infamia ha potuto passare, se non inosservata, senza che ne fossero messe in luce tanto le palesi falsità storiche, quanto le potenziali, e gravissime, conseguenze politiche. Affermare che la guerra è iniziata a causa del patto Molotov-Ribbentrop significa sorvolare sulle pesanti responsabilità delle “democrazie” europee (Inghilterra e Francia su tutte) che hanno dato via libera a Hitler per le annessioni di Austria e Cecoslovacchia e hanno lasciato che i nazifascisti aiutassero Franco a schiacciare la Repubblica spagnola, lasciandogli credere che avrebbe avuto mano libera per ulteriori avventure militari (e il timore che il primo bersaglio di tali avventure sarebbe stata l’Urss – come è effettivamente avvenuto non molto dopo – ha avuto non poco peso nel determinare la decisione russa di firmare il patto del 39). Equiparare  l’Olocausto con i pur gravi crimini del regime stalinista è fuorviante, tanto sul piano delle dimensioni quantitative, quanto sul piano ideologico (in Urss non vi sono stati genocidi motivati da odio razziale). Nel documento non si fa ovviamente parola del contributo sovietico alla sconfitta del nazismo (senza il sacrificio di 39 milioni di russi le potenze occidentali non avrebbero sconfitto le armate naziste). Quanto alla generica definizione di totalitarismo, questa etichetta viene ossessivamente utilizzata per accomunare regimi e governi dalle caratteristiche profondamente diverse fra loro, come Cina, Vietnam, Cuba e Venezuela (quest’ultimo legittimato da libere elezioni!), allo scopo di creare una mobilitazione ideologica permanente delle opinioni pubbliche occidentali nel contesto della nuova guerra fredda contro la Cina.
Fin qui le fake news, per usare un termine di moda. Ben più grave l’accenno contenuto nell’ultima frase: citando il fatto che alcuni Paesi europei “hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti” è chiaro che si vuole preparare il terreno alla messa fuori legge dei partiti comunisti in Occidente.

L’accostamento fra destre estreme e comunismo è il leitmotiv che prelude a tale operazione (a chi ha la mia età, riaffiorano inevitabilmente alla memoria le campagne contro “gli opposti estremismi” degli anni Sessanta e Settanta). È chiaro che, dopo la sconfitta di Donald Trump, e dopo la parodistica “insurrezione” dei suoi fan seguita a tale sconfitta (senza sottovalutare la gravità degli eventi, è ridicolo immaginare che quella patetica versione occidentale di “assalto al palazzo d’Inverno” avrebbe potuto rovesciare il poderoso apparato federale degli Stati Uniti), si sono create le condizioni ideali per rilanciare la campagna sugli opposti estremismi di cui sopra. Si punta il dito contro Trump per distogliere l’attenzione dalla luna degli oltre sessanta milioni di americani incazzati che lo hanno votato in assenza di una reale alternativa all’establishment che incarna gli interessi delle élite tecno finanziarie (anche per il fatto che Sanders e Ocasio Cortez non hanno avuto il coraggio di rompere i ponti con il  Partito Democratico). 
Così, adesso che anche in Europa i vecchi partiti di centro sinistra tirano il fiato, a mano a mano che avanza il processo di normalizzazione dei movimenti populisti, maturano le condizioni per lanciare una guerra preventiva contro possibili recrudescenze social comuniste che potrebbero attecchire nel vuoto che la crisi del populismo apre a sinistra (quello che si è spalancato a destra è già occupato dalla riscossa neoliberale). 
In un post precedente – intitolato “Quando a dichiarare lo stato di emergenza sono i giganti del Web” – citavo alcune mie precedenti analisi in merito alla stretta alleanza fra élite politiche e finanziarie e multinazionali informatiche – alleanza su cui si è fondato il progetto imperiale americano negli ultimi decenni. In questo senso, scrivevo, il diktat di Zuckerberg e soci che ha silenziato Trump va preso per ciò che è, vale adire un atto politico con il quale Silicon Valley sancisce il proprio sostegno al regime change che porta al potere un’amministrazione assai più sensibile di quella trumpiana agli interessi della lobby high tech. Scrivevo anche che gli europei non possono accettare un potere privato che serve gli interessi di una potenza concorrente (ancorché alleata), per cui è presumibile che nel prossimo futuro tenteranno di affermare il proprio controllo giuridico-politico sui nuovi media. 
Ma anche in questo caso, si punterà il dito contro populismi e sovranismi di destra ma il vero bersaglio sarà il “pericolo rosso”, per combattere il quale si costruirà una censura politicamente legittimata e non più affidata ai pretoriani privati dell’economia di Rete (usando le armi delle campagne contro il linguaggio “politicamente scorretto” e “l’incitamento all’odio” – si sa che per questi signori il termine allude all’odio di classe). È forse per dimostrare che questa politicizzazione della censura non è necessaria, perché gli sceriffi privati sono capaci di svolgere da soli il ruolo di estirpare dalla Rete ogni velleità “sovversiva” che Facebook ha deciso di mettere la mordacchia al Partito Comunista di Rizzo, “colpevole” di avere osato paragonare la folla che ha dato l’assalto a Capitol Hill alle squadracce neonaziste protagoniste della “rivoluzione colorata” in Ucraina (e alle quali i media occidentali hanno generosamente regalato la patente di combattenti per la democrazia). 

 
Non so se le sinistre “radicali” sapranno valutare i rischi che questa svolta neomaccartista – che rischia a intensificarsi a mano a mano che la guerra fredda si farà più feroce – potrebbe avere anche per loro. Purtroppo non credo ci si possa contare: ormai hanno quasi tutte espunto la parola comunismo dal loro lessico (bene comunismo fa più figo), si sono convertite all’uso della neolingua politicamente corretta (evitiamo di parlare di lotta di classe per carità), e si uniscono ossequiosamente al coro delle condanne dei regimi "totalitari", per cui presumo siano convinte di non correre alcun rischio. E forse – sia detto a loro vergogna – hanno ragione. 
             


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