TOTALITARISMO LIBERALE E STRUZZI DI SINISTRA
Il governo Meloni cade come il cacio sui maccheroni per una sinistra alla disperata ricerca di un nemico di comodo su cui dirottare l'attenzione delle masse, nella speranza che queste non le chiamino a rispondere delle loro responsabilità. Così si evoca l'immagine anacronistica di un fascismo da operetta, con tanto di orbace, saluti romani e inni al nuovo duce in gonnella, associandola a una forza politica che incarna piuttosto l'ala più duramente e coerentemente neoliberale della borghesia, mentre opera in piena coerenza e continuità con tutti (senza distinzioni ideologiche) i governi che l'hanno preceduta negli ultimi decenni: attacco ai salari e all'occupazione, smantellamento dello stato sociale, privatizzazioni, svendita degli interessi nazionali al "partito dello straniero" come lo chiamava Gramsci, infeudamento agli interessi strategici della NATO e d'una UE totalmente allineata (contro i suoi stessi interessi) ai comandi di Washington.
Mentre milioni di francesi sfilano per le strade di Parigi contro la riforma delle pensioni voluta da Macron, e mentre i lavoratori inglesi tornano a scioperare contro la politica economica imposta dal governo conservatore, le preoccupazioni della sinistra de noantri sono tutte per l'arretramento dei diritti civili e individuali, che considerano la più grave, se non l'unica, minaccia generata dalla svolta a destra sancita dalle ultime elezioni. Svolta dovuta al fatto che milioni di proletari, avendo ormai perso fiducia nelle sinistre, hanno preso sul serio le esternazioni "populiste" e "sovraniste" della destra, o hanno comunque sperato che sarebbero state seguite dai fatti, (considerati gli ultimi sondaggi, sembra non abbiano ancora perso le illusioni in merito).
Ma torniamo al grido "allarmi son fascisti". Questa mistificazione ideologica non si spiega solo con la giovane età di molti di coloro che la alimentano, cioè con il fatto che quasi nessuno di essi ha la minima idea di cosa sia stato il fascismo storico, per tacere del nazismo. Le radici vanno piuttosto cercate nella svolta culturale di mezzo secolo fa, allorché le sinistre radicali iniziarono ad accusare l'Unione Sovietica e i Paesi socialisti dell'Est Europa di essere regimi totalitari, liberticidi e sostanzialmente "di destra", con la benedizione del proclama berlingueriano sull'esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre. Calmate le smanie antagoniste, e liquidate le residue velleità rivoluzionarie, le generazioni dei giovani intellettuali post sessantottini si sono imbevutele delle idee dei vari Deleuze, Guattari, Derrida, Foucault, nonché dei loro cascami in salsa Nouveau Philosophe e delle loro varianti para marxiste, ispirate alle teorie postoperaiste di Antonio Negri.
Se la caduta del Muro di Berlino è stata celebrata come il trionfo della libertà e della democrazia, e non compianta come la morte dell'idea stessa che sia possibile una civiltà alternativa a quella capitalista, o come la catastrofe che ha generato un arretramento generale dei rapporti di forza, delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di proletari occidentali (quelli di Asia, Africa e America Latina si sono fortunatamente incamminati in tutt'altra direzione), ciò è avvenuto perché quegli strati intellettuali si erano già trasformati in una "sinistra nietzscheana", individualista, libertaria, sostanzialmente antisocialista e organicamente funzionale alla cultura mainstream liberal-progressista, associata al progetto cosmopolita della pax imperiale americana. Una cultura che ha partorito i movimenti single issue come il femminismo, l'ecologismo, il movimento lgbt e la retorica del politicamente corretto, sancendo il divorzio fra "ceti medi riflessivi" e classi subalterne che, dagli anni Ottanta a oggi, ha causato il progressivo spostamento del consenso di queste ultime verso i movimenti populisti-sovranisti e/o il loro ripiegamento in una sorta di rassegnata apatia politica.
Solo questa evoluzione può spiegare la sostanziale indifferenza con cui le cosiddette sinistre hanno accolto la Risoluzione del parlamento europeo del 19 settembre 2019, che ha equipara nazismo e comunismo, rinnegando il ruolo decisivo svolto dall'Unione Sovietica nella sconfitta dell'orrore nazifascista. Quell'aberrante atto di revisionismo storico (la storia la scrivono sempre i vincitori, ha detto qualcuno, e, dopo la caduta dell'Urss, l'Occidente capitalista la sta riscrivendo a proprio uso e consumo) significa, di fatto, avallare le tesi del filosofo revisionista Ernst Nolte, il quale, pur non negando i crimini nazisti, li ha giustificati in quanto reazione, ancorché "eccessiva", alla minaccia bolscevica.
Se in Europa esistono ancora partiti comunisti degni di questo nome (alcuni ne esistono, ma sono pochi e deboli) uno dei loro compiti consiste nello spiegare che, se oggi una minaccia di totalitarismo pende sulla nostra testa, non è quella incarnata da figure come Meloni e Le Pen, bensì quella associata alla piena attuazione dei principi e dei valori dell'ordoliberalismo tedesco (che ha il suo pendant nell'ideologia neocons americana, e del quale le destre alla Meloni sono rappresentanti di secondo piano). Il totalitarismo liberale è una realtà in atto, incarnata dai vertici della UE e della NATO, che organizzano la sistematica aggressione contro tutte le nazioni, le idee, le formazioni politiche e i movimenti che si oppongono alla messa in pratica delle politiche economiche e sociali formalizzate nel consenso di Washington. In nome dell'imposizione manu militari di questo consenso, l'Europa si è fatta trascinare nella guerra contro la Russia al fianco del regime neonazista di Kiev.
Il pacifismo "di sinistra" ignora le ragioni che hanno indotto la Russia a scendere in guerra per pura necessità di autodifesa di fronte all'aggressività di una NATO che, in barba agli impegni presi all'atto dell'unificazione tedesca, si è spinta a pochi chilometri dai confini di Mosca (a riconoscerlo è persino papa Francesco), si beve la propaganda occidentale che punta il dito contro il "mostro" Putin e regala una improbabile aura di difensore della democrazia a un cialtrone come Zelensky, ultimo rampollo di una dinastia di leader ucraini di ascendenza nazifascista inaugurata dall'eroe nazionale Bandera. Così non riesce ad andare, nella migliore delle ipotesi, oltre una blanda equidistanza fra le forze in campo, e sottovaluta il rischio di un Terzo conflitto mondiale, che gli Stati Uniti si preparano a scatenare per contrastare la propria perdita di egemonia a livello mondiale.
Questa sinistra è incapace di assumere un ruolo coerentemente antimperialista perché dall'altra parte del fronte ci sono Paesi "totalitari" come la Cina, il Vietnam, Cuba, la Bolivia, il Venezuela e la Russia, che socialista non è ma si oppone alla colonizzazione dell'Asia Occidentale e Centrale da parte della NATO. Ne è incapace perché l'anticomunismo che da quattro decenni penetra come un veleno nelle sue ossa la rende cieca di fronte alla realtà, e questo è lo stesso motivo che le ha impedito di cogliere la gravità della Risoluzione del parlamento europeo sopra richiamata, e che oggi le impedisce di cogliere la gravità di quanto sta succedendo in queste settimane a Praga, dove è in atto una inedita e inaudita operazione di repressione giuridico ideologica descritta da un articolo della rivista Marx21 di cui riporto qui di seguito uno stralcio.
Il primo febbraio si svolgerà a Praga il processo contro Josef Skála e gli studiosi di Praga incriminati per aver sollevato dubbi sui responsabili del massacro di Katyn. Il 31 ottobre 2022, Tomáš Hübner, giudice unico del Tribunale distrettuale di Praga 7, ha condannato a otto mesi di reclusione Josef Skála, noto intellettuale marxista, ex vicepresidente del Partito comunista di Boemia e Moravia (KSCM), insieme con Vladimír Kapal, e Juraj Václavík, tutti e tre incriminati, in base all’articolo 405 del Codice penale della Repubblica ceca, per aver messo in discussione la versione che attribuisce alla dirigenza sovietica il massacro di Katyn (l’uccisione di migliaia di prigionieri di guerra polacchi sul territorio dell’URSS, occupato dalla Wehrmacht nell’estate del 1941). Due anni prima, il 2 luglio 2020, i tre avevano partecipato al forum di discussione pubblica – organizzato, su richiesta degli ascoltatori, da www.svobodne.radio.cz – sul massacro di Katyn, divenuto uno dei principali argomenti della crociata antisovietica e anticomunista delle forze politiche e sociali andate al potere nel 1989, la cui versione dei fatti scarica sui sovietici premeditazione ed esecuzione del crimine. Tale versione, sulla base dell’analisi dei documenti e delle prove disponibili fino al 2020, è contestata da ricercatori e studiosi di diversi Paesi, che l’hanno attribuita agli occupanti nazisti. Nel forum del 2 luglio 2020 J. Skála ha sottolineato che l’obiettivo era quello di stimolare ulteriori discussioni senza alcuna affermazione dogmatica. Né lui né gli altri relatori hanno negato o messo in dubbio il massacro dei prigionieri polacchi, né tantomeno lo hanno avallato o giustificato in alcun modo. Sono entrati esclusivamente in un dibattito, che dura da oltre tre quarti di secolo, sull’attribuzione delle responsabilità. La loro colpa è quella di essersi opposti alla versione oggi spacciata come canone inviolabile, argomentando con riferimento a fonti e documenti, compresi quelli emersi dagli archivi nel periodo successivo al crollo dell’URSS. La trasmissione ha avuto molti commenti positivi e non ha sollevato polemiche. Il 18 marzo 2022 – quasi due anni dopo – tutti e tre i partecipanti al forum sono stati convocati dal Comando nazionale per la lotta alla criminalità organizzata della Polizia della Repubblica Ceca per fornire spiegazioni. Era la fase iniziale del procedimento penale, che ha avuto il suo primo epilogo nella condanna a 8 mesi del 31 ottobre, alla quale hanno fatto opposizione. Il processo si svolgerà l'1 febbraio 2023.
E' evidente il filo rosso che lega l'atto del parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo alle leggi approvate nei Paesi dell'Est Europa, già socialisti e oggi governati da forze anticomuniste e filo americane, leggi che pongono sullo stesso piano il negazionismo nei confronti delle persecuzioni naziste contro il popolo ebraico (già di per sé criticabile in quanto, come ha scritto Stefano Levi Della Torre, è “aberrante colpire per legge reati di opinione, anche perché ciò propone indirettamente che esista una verità ufficiale sancita per legge. La falsità per legge presuppone una verità per legge, e questa è un’idea familiare alle inquisizioni e ai totalitarismi, e ostica per la democrazia e per la ricerca scientifica") al negazionismo nei confronti dei presunti crimini commessi dal regime sovietico. Eppure le sinistre europee preferiscono ignorare questo filo rosso che pure in prospettiva è foriero di minacce anche nei loro confronti.
Infine devo purtroppo prendere atto che anche molti partiti comunisti, in Italia e in Occidente, non appaiono meno timidi nel denunciare questa tendenza, quasi non si rendessero conto che la criminalizzazione di certe opinioni è il primo passo verso la criminalizzazione - e la conseguente messa fuori legge, ciò che in vari Paesi europei dell'est è già avvenuto - delle organizzazioni politiche che le professano. O forse se ne rendono conto fin troppo bene e optano per la politica dello struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia invece di tenerla ben alta per denunciare quanto avviene. A voler essere maligni, si potrebbe dubitare che la scelta di nascondere la propria identità dietro sigle genericamente "nazional popolari" in occasione delle elezioni, faccia parte di tale politica: se non ci facciamo troppo vedere corriamo meno rischi. Beata illusione: meno si difende in campo aperto la propria identità più si accelera la sua totale delegittimazione ed espulsione dal discorso pubblico.
Quindi il femminismo (e altro) è espressione o figlio della cultura main stream liberal progressista armonica all'impero USA? Non deve essere perciò incorporato dentro le istanze popolari coerenti coi valori della storia della sinistra marxista?
RispondiEliminaIo starei attento prima di fare certe affermazioni. Maschilismo e paternalismo sono storia o fisime borghesi? Per il resto articolo ineccepibile
Daniele
Evidentemente hai letto senza attenzione: io non parlo di femminismo al singolare ma sempre al plurale perché il femminismo di Nancy Fraser, Silvia Federici e molte altre autrici (soprattutto latinoamericane) è esplicitamente anticapitalista (com'era il movimento alle sue origini negli anni 60/70) e non è un caso che siano proprio queste compagne nei loro lavori ha definire il femminismo mainstream e le sue appendici lgbt come alleato organico del regime neoliberale. Quanto al femminismo socialista è già da tempo incorporato nei valori della sinistra marxista (o meglio di ciò che ne rimane - assai poco - in paesi come il nostro). Quanto a machismo e paternalismo in quanto termini incorporati nel senso comune veicolato dai media (borghesi, del resto oggi non ce ne sono altri come puoi constatare dall'adesione unanime alla propaganda bellica occidentale) non sono "storia" come ingenuamente affermi tu, bensì termini coniati in quel lessico "politicamente corretto" che ha colonizzato la cultura "di sinistra"...
RispondiEliminaposso chiedere qualche riferimento bibliografico critico sulla "sinistra nietzscheana"? Grazie in anticipo!
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