SPAGNA E ITALIA. L'OFFENSIVA DELLE OLIGARCHIE
Democrazie mediterranee sotto attacco
Manolo Monereo |
Il dialogo e il confronto con Manolo Monereo, ex dirigente del partito comunista spagnolo e di Izquierda Unida, nonché ex deputato di Podemos e una delle menti più lucide della sinistra iberica (e non solo), sono stati per me, in questi anni di crisi globale, fattori di arricchimento culturale ed umano. È quindi con piacere che mi accingo a scrivere del suo ultimo (1) libro Oligarquia o democracia. España, nuestro futuro, (l’editore è El Viejo Topo, che ringrazio per avere pubblicato le edizioni spagnole di due miei lavori recenti (2)). Si tratta di una corposa antologia (più di 400 pagine) che raccoglie una cinquantina di articoli (ad alcuni dei quali hanno collaborato Javier Aguilera, Julio Anguita, Héctor Illueca e Stuart Medina, oltre a Miguel Riera che firma il Prologo) usciti fra la primavera del 2017 e la fine del 2020 sulle riviste El Viejo Topo e Cuartopoder.
In questa recensione mi concentrerò sugli scritti pubblicati nei due periodi che vanno, rispettivamente, dall’autunno del 2018 a quello del 2019 e dall’inizio alla fine del 2020, scegliendo, fra i vari argomenti trattati, quelli che più si prestano a evidenziare la rapida evoluzione del quadro politico spagnolo e le sue analogie con quello italiano. Prenderò poi spunto dalle riflessioni di Monereo per riproporre alcuni giudizi che ho espresso in un mio precedente post, dedicato al libro di Francesco Campolongo e Loris Caruso su Podemos e il populismo di sinistra (3) (giudizi che ad alcuni amici spagnoli possono essere sembrati troppo severi, nella misura in cui rispecchiano la mia convinzione che la situazione italiana – in cui il processo di liquidazione degli ultimi residui di sistema democratico si è appena compiuto - anticipi l’esito di quella spagnola, dal momento che anche lì manca un progetto politico che possa imporre una soluzione alternativa).
Nel primo periodo esaminato da Monereo le situazioni dei due Paesi presentano un chiaro parallelismo, benché associato a una sorta di sfasamento temporale. Se in Spagna il “momento populista” (4) ha trovato in Podemos una espressione politica di sinistra, fallendo però “l’assalto al cielo”, In Italia le espressioni sono state due, l’una di destra (la Lega) l’altra moderatamente progressista (l’M5S), che, dopo le elezioni del 2018, si sono inopinatamente alleate, dando vita al primo governo Conte. Nel contempo, sempre in Italia, nasceva, sia pure faticosamente e contraddittoriamente, una composita area “sovranista di sinistra” che, pur non appoggiando il governo, ne apprezzava alcune timide aperture alle esigenze delle classi subalterne , ma soprattutto cercava di sfruttarne la conclamata – ancorché mai tradotta in azione politica – diffidenza nei confronti dell’Unione Europea a guida tedesca, per alimentare la consapevolezza popolare in merito al suo ruolo di baluardo degli interessi del capitalismo finanziario globale, progettato per distruggere i risultati di decenni di lotte proletarie e neutralizzare i principi costituzionali che li avevano resi possibili.
In questo lasso di tempo Monereo guarda con simpatia, prima al lancio del Manifesto per la sovranità costituzionale (5) poi, dopo il fallimento del processo di formazione di una nuova forza politica che avrebbe dovuto inspirare, ad altre iniziative di quell’area politico culturale, fra cui il lancio dell’associazione Nuova Direzione e le Tesi (6) che ne hanno accompagnato la nascita. Alle reazioni negative che questi eventi suscitano sia in Italia che in Spagna, con le accuse di ”rossobrunismo” rivolte ai protagonisti, Monereo replica in alcuni articoli che denunciano “la dittatura del politicamente corretto”, nei quali non si limita a criticare il dogmatismo ideologico di una sinistra sorda agli interessi concreti delle masse popolari, colpiti dalle politiche economiche imposte dalla UE, ma punta il dito contro la proposta di costruire un “fronte antifascista europeo” che circola negli ambienti delle sinistre vecchie e nuove: combattere il populismo di destra senza porre rimedio alle circostanze che lo hanno generato, scrive, significa rompere i già deboli rapporti con le classi popolari. Difendere la UE dalla “barbarie populista”, significa accettare di fatto la regressione dal costituzionalismo sociale, dalle democrazie avanzate frutto di decenni di conflitti di classe, a una democrazia liberale funzionale al mercato. Questo progetto si alimenta di una paura che, sia il Psoe di Pedro Sanchez in Spagna che il PD in Italia, riescono ad alimentare e a sfruttare, contando sull’appoggio delle pressioni di Bruxelles e di una formidabile campagna mediatica, fino a determinare, in Italia, la caduta del primo governo Conte e la nascita del secondo, fondato sull’alleanza fra Pd e M5S, in Spagna, la formazione del governo Sanchez in coalizione con Podemos che accetta un ruolo subalterno (il compito di Sanchez è facilitato dalla presenza di una destra radicale apertamente neofranchista).
Monereo capisce quando Podemos sta per cadere nella trappola, spiega perché esiste tale rischio e tenta vanamente di addurre argomenti per cercare di scongiurarlo. Il vero problema, scrive, consiste nel fatto che la spinta al cambiamento del 15M si è esaurita e, con essa, la possibilità di arrivare, come immaginato nella fase ascendente dei movimenti, a un nuovo processo costituente capace di reintegrare i diritti sociali distrutti dalla rivoluzione liberista e, al tempo stesso, di offrire soluzione alla questione catalana. Il punto è capire “come essere rivoluzionari in condizioni storico-sociali non rivoluzionarie”. La risposta è quella di Gramsci: passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione. Che significa? Costruire identità, radicamento sociale, alleanze, formare quadri, lavorare alla definizione di un progetto alternativo di Paese. In una parola: tempo, fatica, sacrificio. Non sarà la via scelta da Podemos, e Monereo si chiede amaramente se non sia stato proprio per evitare di imboccarla che si è deciso di rincorrere la chance di andare al governo con il Psoe.
Scegliere se governare o no, precisa, non è mai questione di principio, dipende dai programmi, dai rapporti di forza e dall’interpretazione della congiuntura storica. Il programma di Podemos non è certo rivoluzionario, è assimilabile a quello di una socialdemocrazia radicale (7), ma purtroppo nessun riformismo, debole o forte che sia, è possibile nei Paesi della UE; ne segue che, per essere coerente con il suo programma, Podemos dovrebbe impegnarsi a cambiare le relazioni fra Spagna e UE. Invece nelle campagne elettorali della UE si tace, o se ne parla solo per rassicurare gli elettori in merito al proprio europeismo (sia pure critico). Del resto, Podemos non è in grado di assumersi compiti così impegnativi perché, avendo perso base sociale e radici nel territorio, ha cessato di essere un attore principale, un protagonista capace di organizzare attorno a sé il mutamento politico della Spagna e, per di più, sta vivendo una crisi organizzativa, dato che la vita interna del partito si è ridotta “all’approvazione online di programmi e liste elettorali” (il che conferma la sua omologia “strutturale” con l’M5S, ma di questo più avanti). Come se non bastasse, si trova di fronte un Psoe che può ottenere l’egemonia nel sistema politico solo riducendo il peso elettorale e sociale di Podemos. Quindi Iglesias cosa si inventa? Fa una campagna elettorale per governare con un partner che si nega e che fa di tutto – fino ad ammiccare alla destra di Ciudadanos – pur di lasciarlo sulla graticola. Ecco come Monereo descrive ironicamente questo atteggiamento: “dal momento che non ci fidiamo del Psoe, governiamo con lui”.
A questo punto occorre fare due incisi. Il primo riguarda l’ammirazione che Monereo esprime nei confronti della “genialità” (giudizio che ripete più volte) della campagna elettorale condotta da Iglesias, il quale riesce a convincere gli alleati e parte del suo elettorato che la proposta di andare al governo con Sanchez è “una rivendicazione democratica e anti oligarchica”. Non so se l’ammirazione sia frutto dell’amicizia che lega Monereo a Iglesias malgrado le divergenze politiche, o se derivi dal fatto che quell’invenzione comunicativa è effettivamente riuscita a frenare l’emorragia di voti, il che alla fine ha costretto Sanchez ad accettare l’alleanza (personalmente continuo a pensare – come ho scritto nella recensione al lavoro di Campolongo e Caruso – che il talento comunicativo di Iglesias abbia influito negativamente, più che positivamente, sull’evoluzione del suo partito). In ogni caso, per realizzare l’obiettivo di andare al governo, il programma viene ridotto a modeste garanzie in materia di politiche del lavoro, rinunciando a ogni velleità in tema di rivendicazioni nei confronti della UE, della collocazione internazionale della Spagna, della questione nazionale (indipendentismo catalano) che viene delegata alla gestione del Psoe. Il secondo inciso riguarda quello che potremmo definire una sorta di chiasmo, o di specularità rovesciata, fra le relazioni Psoe-Podemos e PD-M5S: mentre Podemos ha fatto di tutto per strappare al Psoe un’alleanza in cui occupa una posizione subalterna, il PD, pur partendo da una consistenza elettorale assai minore di quella dell’M5S, è riuscito, cogliendo l’occasione della crisi del primo governo Conte, a rovesciare di fatto – se non sul piano numerico – i rapporti di forza, “resettando” il programma dei grillini sui propri obiettivi.
Concludo questa rassegna sugli scritti del primo periodo citando un articolo di argomento geopolitico. Commentando la guerra commerciale fra Huawei e Google, Monereo ne evidenzia il significato squisitamente politico: le imprese multinazionali, scrive, hanno sempre dietro di sé uno stato nazione cui si sottomettono quando è necessario, ed è per questo che la disputa in questione va interpretata come un episodio della lotta per l’egemonia fra Stati Uniti e Cina, che ha come posta in palio la ridefinizione della distribuzione del potere nel sistema mondo. Gli Stati Uniti, aggiunge, devono organizzare una coalizione di stati con l’obiettivo di impedire alla Cina di divenire la prima potenza economica, politica e militare in un mondo in transizione. In questa guerra l’America non distingue fra commercio mondiale, innovazione tecnologica e potenza bellica. Ed è proprio per questo, aggiungo io, che delegare la gestione della politica estera spagnola all’atlantismo del Psoe è responsabilità gravissima di Podemos, con effetti paragonabili a quelli della svolta della politica estera italiana associata al passaggio dal primo al secondo governo Conte: vengono accantonate le timide aperture nei confronti di Cina e Russia per ricompattarsi nelle fila della santa alleanza occidentale, assieme a una UE priva di reale autonomia nei confronti degli Stati Uniti.
Inizio l’esposizione e il commento degli articoli del 2020 restando sul tema della geopolitica. Ragionando sulla formidabile capacità di risposta che il regime cinese ha dimostrato nell’affrontare la pandemia del covid19, Monereo la attribuisce alla forza dello stato e ricorda che, dietro uno stato forte, “c’è il controllo sulla libera circolazione dei capitali, la socializzazione degli investimenti e un apparato finanziario sotto dominio pubblico”. Queste caratteristiche non bastano a fare della Cina una paese “realmente” socialista? Rifiutando l’approccio dottrinario e astratto che inspira questo dilemma, Monereo rinvia alle considerazioni di Samir Amin, laddove il marxista egiziano invita a concepire la transizione al socialismo come un processo di lunga durata, pieno di contraddizioni, avanzate e ritirate, vittorie e sconfitte (8). Ma soprattutto irride la tesi che associa la realizzazione del socialismo all’avvento di un fantomatico governo mondiale, frutto della vecchia idea occidentale e cristiana che sogna una umanità unificata da un nuovo ordine cosmico costruito sulle rovine dei vecchi stati: a quale cultura spetterà il ruolo, ironizza, di incarnare questo mondo pacificato e “universale” (l’allusione alla democrazia e ai diritti dell’uomo esportati a suon di bombe è implicita).
Ma il nodo centrale che ritorna nella maggior parte di questi scritti del 2020 ruota attorno a tre argomenti: perché la reazione delle élite nei confronti del governo Psoe/Podemos è così dura, qual è il vero obiettivo di questa offensiva e quale alternativa politica alla crisi identitaria e organizzativa di Podemos è possibile immaginare.
Pedro Sanchez e Pablo Iglesias |
Perché tanto rancore nei confronti di un governo moderatamente socialdemocratico? La risposta, scrive Monereo, non sta in ciò che questo governo fa, ma in ciò che impedisce di fare. La cagnara anticomunista contro Podemos può suonare bizzarra a orecchie ingenue (così come ancora più bizzarre sono suonate qui in Italia le accuse di comunismo rivolte a una forza ben più moderata di Podemos qual è l’M5S). Ma la stranezza è apparente. Per spiegarla occorre comprendere che l’anticomunismo in assenza di una reale minaccia comunista è sintomo del fatto che l’oligarchia si sente vittoriosa per cui, passata la paura, rilancia l’offensiva, insegue obiettivi più ambiziosi. Iglesias non ha capito che la moderazione non basta: moderato o radicale, il suo partito verrà spietatamente attaccato finché sparirà, o finché non saranno riusciti a fargli fare la fine di Tsipras e Syriza, cioè a convertirli in politicanti come gli altri, a reciderne i residui rapporti con le classi subalterne, a uccidere ogni speranza di cambiamento. Né ha capito che il vero bersaglio dell’offensiva non è lui, bensì Pedro Sanchez: per ottenere il passaporto di garante del sistema, Sanchez deve sbarazzarsi di Podemos, deve tornare ad avere le mani libere per poter realizzare senza esitazioni e tentennamenti le politiche dettate dal blocco di potere interno e dalla UE.
Per le oligarchie la crisi è un’occasione imperdibile: partendo da un’analisi spietata della realtà (anche più cinica di quanto possano immaginare i loro critici), e dalla convinzione che le tendenze in atto siano irreversibili, vogliono “portarsi avanti”, assumere un controllo assoluto e incontrastato dei processi in corso. La società e il governo devono essere messi di fronte a uno stato di necessità talmente cogente da indurli ad accettare la direzione economica della UE e i nuovi piani di austerità e riforme associate agli ”aiuti”. Di più, memore del detto di Carl Schmitt (9) che recita “sovrano è chi decide nello stato di eccezione”, Monereo identifica l’obiettivo ultimo dell’offensiva: passare dallo stato di necessità allo stato di eccezione. Per continuare il ping pong fra Spagna e Italia che sto suggerendo a mano che seguo i suoi ragionamenti, si potrebbe dire che l’obiettivo ideale di cui stiamo parlando è quello che qui da noi è stato raggiunto con la caduta del secondo governo Conte e l’insediamento del governo di “unità nazionale”, presieduto dal proconsole imperiale Mario Draghi.
Cosa può fare Podemos per opporsi a questo esito? Mi pare che la descrizione che Monereo fa dello stato attuale del partito di Iglesias non alimenti illusioni. Passare in pochissimo tempo dall’assalto al cielo alla difesa della democrazia e della costituzione vigente non è stata cosa da poco, ma passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, identificando quest’ultima con l’andata al governo assieme al Psoe, è stato decisamente troppo. Così com’è troppo continuare a illudersi che dalla UE possano arrivare politiche solidali e fantasticare su programmi di ricostruzione, dimenticando che la Spagna non è più un paese sovrano. Questo sarebbe piuttosto il momento di contrastare le politiche neoliberali della UE e di contestare i Trattati, esigendo di monetizzare e mutualizzare il debito, scommettendo sul fatto che Spagna e Italia non sono la Grecia e che, senza di loro, l’Europa non sta in piedi. Purtroppo Podemos non è in grado di farlo nemmeno se lo volesse. Perché si è incastrato in un governo senza programma né strategia; perché si è convertito in una forza minoritaria che mira a fare politica nell’area egemonizzata dal Psoe; perché ha perso base sociale e radici nel territorio: i circoli si sono indeboliti o sono spariti, i militanti di base si sono ritirati a vita privata, il partito si è convertito in un “partito manifesto”, bastato su incarichi pubblici e politici di mestiere finanziati dallo stato che si relazionano al paese solo attraverso i media, una forza incapace di generare un immaginario alternativo. Ciò detto, da vecchio combattente, Monereo non vuole rinunciare alla speranza e, negli ultimi articoli raccolti in questa antologia, invita a lavorare in funzione della costruzione di una nuova forza politica, di una costituente della sinistra spagnola.
Concluderò 1) rilanciando alcuni dei nodi teorici che avevo abbozzato nel post sul libro di Campolongo e Caruso, 2) rivolgendo a Monereo alcune domande (cui spero possa e voglia rispondere) in merito alla sua attuale prospettiva politica, 3) spiegando infine perché l’idea da cui era partito qui in Italia il progetto di Nuova Direzione (non molto lontana da quella di Monereo descritta poche righe sopra) si è dimostrata difficile, se non impossibile, da mettere in atto nelle condizioni generate dalla crisi pandemica.
Parto dai parallelismi che ho evidenziato fra le coppie Podemos/Psoe e M5S/PD. Se si assume un’ottica ideologico-culturale è chiaro che potrebbero apparire opinabili, ma io li interpreto sul piano strutturale. I processi di “normalizzazione” di Podemos e dell’M5S (cui si potrebbero accostare quelli di Syriza, di France Insoumise, delle sinistre Dem americana e del Labour inglese, in una parola dei populismi di sinistra occidentali) mettono in crisi l’ipotesi che io stesso, fra altri, avevo avanzato in merito a una possibile declinazione rivoluzionaria del populismo. Imprimendo una torsione gramsciana alle teorie di Laclau (dalla catena equivalenziale al blocco storico, dall’egemonia intesa come manipolazione retorico linguistica del senso comune, alla sua declinazione in termini di rapporti di forza fra interessi di classe), mi era parso che il “momento populista” (inteso come “momento Polanyi”, cioè come rivolta della società tutta contro gli effetti della sua colonizzazione da parte del mercato) potesse essere “cavalcato” da forze social comuniste in grado di spostare progressivamente la rabbia popolare verso obiettivi più avanzati.
Ciò che rendeva debole quell’ipotesi era la mancanza di una approfondita analisi delle trasformazioni della composizione di classe indotte da mezzo secolo di controrivoluzione liberista. Assieme ad Alessandro Visalli ho abbozzato un primo tentativo in tal senso nella sezione delle Tesi di Nuova Direzione dedicate a questo tema. La nostra proposta intrecciava parametri diversi per definire i contorni del proletariato contemporaneo, basandosi, più che sui livelli retributivi, su una serie di opposizioni: capacità o meno di contrattare il prezzo della propria forza lavoro (a prescindere dal tipo di inquadramento giuridico della stessa); disponibilità o meno di fonti di reddito diverse dall’attività lavorativa (beni immobili, titoli di vario genere, assicurazioni, ecc.); livelli di educazione (“capitale culturale” per usare un neologismo in voga); collocazione geografica (centri metropolitani gentrificati versus periferie e città di provincia); livelli di precariato, ecc. Dall’ elenco restavano fuori, oltre a manager, professionisti, percettori di rendite, piccoli e medi imprenditori, anche i quadri intermedi con ruoli di controllo sulla forza lavoro oltre a quegli strati di lavoratori intellettuali (nuove professioni, lavoratori della conoscenza, “creativi” ecc.) che, anche se con retribuzioni relativamente basse e/o penalizzati da competenze sovradimensionate rispetto alle effettive opportunità di impiego e carriera, conservano aspettative e identità di status tipiche delle classi medio elevate.
Il problema è che è proprio quest’ultimo strato a esercitare l'egemonia nelle formazioni populiste di sinistra. Ciò ha fatto sì che questi movimenti – pur con forti differenze nei vari paesi – abbiano assunto quelle caratteristiche che, nel post dedicato al libro di Campolongo e Caruso, ho definito neogiacobine sul piano ideologico (riferimento ai “cittadini”, alla “gente”, piuttosto che alle classi subalterne, politically correctness, rivendicazione di un ritorno a una immaginaria democrazia “originaria”) e neoborghesi sul piano strutturale (resistenza ai processi di esautoramento da parte delle nuove oligarchie – la “trama” di cui parla Monereo - non classificabili come borghesia in senso classico). Le conseguenze di questa composizione di classe sono evidenti: comunicazionismo, elettoralismo, governismo, leaderismo mediatico, debolezza organizzativa, scarse radici nel territorio. Come dimostrano ampiamente le analisi della composizione sociale tanto dell’elettorato quanto della base di queste formazioni, la loro capacità di attrazione nei confronti delle classi subalterne è scarsa o, nella migliore delle ipotesi, episodica (vedi il boom elettorale dell’M5S, rapidamente rientrato a seguito delle ripetute svolte in senso moderato). Ciò ha fatto sì che una quota significativa del consenso degli strati sociali medio bassi, meno scolarizzati, residenti nelle periferie o in provincia, sia andata ai populismi di destra, come certificano, anche in questo caso, le analisi della composizione sociale dei flussi elettorali.
Doveva andare necessariamente così? Per chi non crede in un rigido determinismo storico la risposta non può che essere negativa. Resta il fatto che la condizione per cui avrebbe potuto andare diversamente, coincide con l’esistenza di forze politiche in grado di unificare, in primo luogo, i frammenti di un proletariato disarticolato e deprivato di identità culturale da decenni di guerra di classe dall’alto (10). Solo a partire dalla ricostituzione di quel nucleo, sarebbe stato possibile costruire un blocco sociale capace di opporsi al progetto oligarchico. Ma oggi quelle forze non esistono (o se esistono sono troppo deboli) in nessun paese occidentale. Che fare dunque, o, per usare le parole di Monereo, come essere rivoluzionari in un tempo storico che rivoluzionario non è?
La risposta proposta da Nuova Direzione è consistita nel tentativo di aggregare forze che da anni criticavano l’acquiescenza delle sinistre nazionali e internazionali verso le conseguenze dei processi di globalizzazione e finanziarizzazione e verso le regole della governance sovranazionale imposte dalla UE. Partendo dall’attenzione suscitata dal lancio del Manifesto per la sovranità costituzionale, volevamo ricostruire un punto di vista socialista sugli esiti della Grande crisi iniziata nel 2008, inspirato agli interessi delle classi subalterne e delle periferie. L’ambizione egemonica di questo progetto, tenuto conto della scarsa consistenza numerica dell’Associazione, può apparire folle. Ma era giustificata dalla convinzione che l’ondata populista, pur se mostrava i primi sintomi di esaurimento, potesse aprire una finestra di opportunità per l’irruzione dal basso di forze ed energie antisistemiche. L’idea non era quella di crescere assorbendo altre soggettività politico culturali, ma di funzionare da catalizzatore “di essere pesci nel mare, non pensare di diventare noi stessi il mare”, come ha scritto Visalli.
A un anno di distanza, dobbiamo prendere atto che la crisi pandemica ha prosciugato il mare. Integrando in un colpo solo l’intero sistema dei partiti, assieme a tutte le varianti populiste, sotto il proprio comando, il golpe bianco impersonato da Draghi è un esempio perfetto di quella che Monereo chiama transizione dallo stato di necessità allo stato di eccezione: il vero sovrano ha mostrato il suo volto, rivendicando il diritto esclusivo di decidere di cui è convinto di essere il legittimo depositario. Le reazioni sono state a dir poco scarse: si va dalla fronda interna all’M5S, malinconicamente trincerata nella nostalgica rivendicazione della “purezza” delle origini, al ribellismo di frange irrazionali e puramente reattive (No Vax, negazionisti, complottisti ecc.), alla “opposizione del re” incarnata dalla destra di Fratelli d’Italia. Né credo ci si possa aspettare spontanee ribellioni di massa sul tipo dei gilet gialli francesi: come insegnano le vicende greche, dopo sconfitte particolarmente dure, e dopo il tradimento da parte di forze politiche che avevano suscitato speranze di cambiamento, le reazioni prevalenti sono lo scoramento e la rassegnazione.
Inoltre non va sottovalutata la possibilità che l’Europa colga l’occasione della crisi pandemica per recuperare consenso e credibilità 1) promuovendo investimenti nei settori delle infrastrutture, delle tecnologie avanzate, nei servizi e nella pubblica amministrazione; 2) tamponando gli effetti più drammatici dei processi di impoverimento generati dalla crisi; 3) ricomprando la fedeltà dei ceti medi a scolarizzazione elevata e dotati di competenze utili alla riattivazione di un ciclo di sviluppo. Mi rendo conto che molti (e io stesso fino a poco fa) pensavano e pensano che l’attuale regime oligarchico “non possa” assumere iniziative del genere, ma giova ricordare che Lenin sosteneva che non esistono crisi che il regime capitalistico, se non viene rovesciato politicamente, non riesca prima o poi a superare. In ogni caso io e Visalli – in dissenso con la maggioranza dei compagni di Nuova Direzione – riteniamo che la fase sia mutata così radicalmente che il progetto delle Tesi appare di fatto superato (del resto la teoria, per un marxista, non deve produrre modelli astratti ma analisi concrete delle situazioni concrete). Per questo pensiamo che passare dalla guerra movimento alla guerra di posizione voglia dire riprendere le fila di un lavoro teorico che non può che essere collettivo, che deve cioè coinvolgere un bacino di energie e di intelligenze assai più ampio di quello di cui dispone Nuova Direzione, e voglia anche dire contribuire a produrre risorse e competenze in vista della auspicabile fase costituente di una nuova formazione socialista che, data l’attuale dispersione delle forze, potrà avvenire solo a coronamento d’un lavoro lungo, faticoso e paziente.
A questo punto non mi resta che chiedere a Monereo in che misura ritiene che questa prospettiva sia compatibile con il contesto spagnolo. E' probabile che in Spagna esistano condizioni più favorevoli delle nostre all’avvio di un simile processo costituente. Anche se non credo che ciò potrebbe comunque impedire che il passaggio dallo stato di necessità allo stato di eccezione avvenga anche lì in tempi relativamente rapidi. Ma se ciò è vero, mi chiedo (e gli chiedo) se e in che forme pensa che si debba/possa riproporre l’obiettivo di riconquistare la sovranità nazionale e popolare, assieme al diritto delle classi subalterne di decidere del proprio destino. In particolare, mi chiedo (e gli chiedo) se pensa che la rivendicazione di restaurare la democrazia nelle forme codificate dalle costituzioni sociali possa ancora avere un senso non puramente ideologico, o se non sia piuttosto il caso di riproporre lo slogan “siate realisti, chiedete l’impossibile” che, nel caso, vuol dire immaginare forme di partecipazione democratica radicalmente alternative a quelle che la "ribellione delle élite" ha definitivamente consegnato al passato. Un’ultima considerazione: qualunque sia la via che sceglieremo per affrontare la traversata del deserto che ci attende, occorrerà armarsi di coraggio, perché gli scenari di guerra che si preparano non lasceranno molto margine a forme di resistenza che possano essere etichettate come “collusione con il nemico”.
Note
(1) Alcuni dei lavori precedenti di Manolo Monereo sono disponibili in italiano. Cfr., in particolare, Un progetto di liberazione. Repubblica, sovranità, socialismo (con Héctor Illueca), Meltemi, Milano 2020; vedi anche “Plutocrazia contro democrazia” in AAVV ( a cura di C. Formenti), Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro, Meltemi, Milano 2021.
(2) L’editore El Viejo Topo ha pubblicato le edizioni spagnole de La variante populista (DeriveApprodi, Roma 2016) e de Il socialismo è morto viva il socialismo (Meltemi, Milano 2019).
(3) F. Campolongo, L. Caruso, Podemos e il populismo di sinistra. Dalla protesta al governo, Meltemi, Milano 2021.
(4) Ho discusso il concetto di momento populista ne La variante…cit.
(5) Il Manifesto si trova all’indirizzo https://www.patriaecostituzione.it/wp-content/uploads/2019/02/Manifesto-per-la-sovranit%C3%A0-costituzionale-4.pdf
(6) Le Tesi sono consultabili sul sito di Nuova Direzione all’indirizzo https://www.nuova-direzione.it/le-tesi-di-nuova-direzione
(7) Sul programma politico di Podemos vedi F. Campolongo, L. Caruso, op. cit.
(8) sul dibattito in merito alla natura della società e del regime cinesi che ha coinvolto, oltre a Samir Amin, vari altri autori marxisti, da Giovanni Arrighi a David Harvey, vedi quanto ho scritto nel mio ultimo libro, Il capitale vede rosso, Meltemi, Milano 2020.
(9) Cfr. C. Schmitt, Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972; vedi anche Il Nomos della Terra, Adelphi, Milano 1991.
(10) Cfr. L. Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari 2012
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